Come hai vissuto il lockdown nel ruolo di HR Director?
Ho cominciato in Prelios il 9 di marzo 2020 e non pensavo di trovarmi in una situazione così. Premetto che Prelios si è fatta trovare assolutamente pronta dall’emergenza, vi era un framework organizzativo e tecnico già da due anni in funzione per quanto riguarda lo smartworking oltre ad un’ottima preparazione in termini di business continuity e di capacità di affrontare le emergenze. Personalmente mi aspettavo di avere un’esperienza iniziale di graduale esplorazione, per comprendere la realtà nuova nella quale mi stavo immergendo, così da orientare il lavoro del team e dei colleghi. E invece mi sono ritrovato completamente calato nel contesto aziendale da un giorno all’altro. Marzo e aprile sono stati dedicati a comprendere le normative e a capire come affrontare le sfide legate alla situazione contingente, e ho dovuto esercitare al meglio la tensione fra obiettivi di breve termine e di lungo termine, cambiando frequentemente anche il focus.
Quali sono state le richieste dei collaboratori di primo acchito?
Le richieste sono state molto polarizzate: da una parte erano collegate a tematiche di salute e sicurezza, dall’altra erano inerenti all’attività lavorativa, a cui è connessa anche la questione organizzativa familiare e personale. Il nostro tentativo di mettere in sicurezza sia la salute delle persone sia il lavoro anche dal punto di vista contrattuale è stato poi riconosciuto dalle persone.
Nel mentre abbiamo anche continuato nella nostra forte crescita: nel 2020 sono entrate in azienda più di 160 persone di cui 55 nel secondo trimestre a cavallo del primo lockdown. Anche nelle fasi difficili, l’azienda ha garantito ai nuovi entrati l’accesso alla knowledge base.
Cosa è emerso dal confronto con i giovani che avete inserito in azienda in tempi di pandemia?
In generale, possiamo dire che il meccanismo di onboarding è uscito dai cliché o dalle prassi consolidate, consapevoli che soprattutto per i giovani il momento di ingresso in azienda è un’esperienza di arricchimento centrale per il presente e il futuro della loro attività lavorativa. La cosa che abbiamo osservato è che la generazione più digitale ha comunque un fortissimo desiderio di stare in ufficio, ed è per noi un paradosso: i senior hanno altre questioni da gestire (famiglia, equilibri diversi tra vita personale e professionale), i più giovani non hanno digital divide e hanno usato da subito le piattaforme senza problemi, ma si rendono conto che non è la stessa cosa dello stare in uno spazio fisico per imparare dagli altri. Ci stiamo accorgendo che i giovani sono quelli più orientati ad avere una parte della propria settimana lavorativa in sede, là dove si possono acquisire competenze. È poi di fatto una delle sfide maggiori che abbiamo: fare in modo che l’ingaggio e il passaggio delle competenze funzionino anche in una situazione ”ibrida” tra smart working e presenza in ufficio, che mi aspetto sarà la realtà anche post vaccino.
Quali sono le competenze che hai più allenato e sviluppato nel corso del 2020?
Io sicuramente ho dovuto esercitare la mia curiosità. Ho cercato di essere influente, in un ambiente nuovo e in una situazione così particolare, e non è stato semplicissimo. Inoltre, ho allenato la capacità di mettermi sullo stesso piano delle persone, comprendendo gli aspetti più personali dei colleghi: più di una volta abbiamo avuto situazioni particolari da gestire legate al Covid, a causa di fragilità, figli, mariti e mogli di medici. Dal punto di vista, invece, del ruolo più complessivo, ho tentato di coniugare una realtà che nessuno conosceva con le esigenze aziendali.
In generale, Prelios è crescita enormemente negli ultimi 18 mesi e vogliamo essere agili, veloci e consistenti, prendendo delle decisioni, anche sulle persone, e trovando la strada giusta come management: mi sono fatto l’idea che non ci sia una soluzione univoca, l’unica è cercare di essere flessibili nelle scelte ed essere convincenti.
Come è cambiato il ruolo dell’HR Director? E come si sono arricchite le competenze del tuo team?
Solo una breve premessa: il mio modo di fare HR è legato alla mia storia, ma anche ai miei gap, perché in passato ho avuto esperienze anche molto diverse. Detto questo, posso dire che negli ultimi anni la funzione HR è tornata centrale nelle strategie – come ricordato spesso da numerosi paper delle primarie società di consulenza – e ha portato la componente umana al centro pur spingendo sulla digitalizzazione. In Prelios siamo ancora in una fase operativa, ma il mio ruolo è sempre più quello di cercare di trovare nel quotidiano una forma di coniugazione tra la nuova realtà e gli obiettivi aziendali. Io credo che le persone dell’azienda debbano avere un ruolo strategico e noi come HR dobbiamo essere alla fine una funzione di supporto alle decisioni del top management. Personalmente, infatti, non credo a un HR particolarmente pesante e visibile nelle scelte aziendali – so di essere controcorrente da questo punto di vista –, credo piuttosto in una funzione estremamente operativa in grado di interpretare e supportare le strategie di business.
Il team HR è in un percorso di crescita, dove i temi sul tavolo sono tanti: l’attenzione alla gestione dei talenti, il rinnovamento delle competenze necessarie, lo sviluppo della capacità di essere di supporto al business, senza definirne le strategie. In questa fase abbiamo la necessità di rimanere pragmatici, di dare continuità al lavoro di tutti, di dare una risposta alle esigenze formative. Molto back to basics dal mio punto di vista.
Come si evolverà il mondo del lavoro nel prossimo futuro?
Il mercato del lavoro italiano rimane molto rigido. Una delle sfide maggiori è trovare i talenti sul mercato, ma anche sviluppare i talenti delle persone che sono già in azienda.
Abbiamo sdoganato lo smartworking come concetto e practice, ma la situazione è più complessa del solo dire “lavoriamo per obiettivi”, perché lo smartworking è molto di più. Abbiamo sicuramente superato le ultime diffidenze, ma per sistematizzare l’approccio abbiamo da lavorare parecchio, in particolare secondo me su tutti i meccanismi di collaborazione e sull’attenzione alle persone.
Uno dei passaggi chiave per far sì che lo smartworking funzioni sarà aiutare i manager ad avere una diversa modalità di interazione con i colleghi, di gestione della motivazione, di attenzione alle esigenze delle persone.
Quali sono le competenze dei manager del futuro?
Sicuramente dovranno possedere la capacità di adattare l’approccio con le persone al mutato contesto, in un modo ancora da qualificare ma che sarà sicuramente diverso. Dovranno essere in grado di gestire la motivazione, l’ingaggio, la collaborazione: la sfida è alta.
Negli anni si è fatto un gran parlare di resilienza: nella sua accezione più banale l’abbiamo sperimentata. Adesso, invece, credo che ci sia bisogno di flessibilità. La flessibilità sarà la “nuova resilienza”, la capacità di rispondere alle sfide inedite che si pongono. Flessibilità intesa come l’unico modo per eccellere, in quanto capacità di reagire in modo veloce, con scelte a volte non ovvie a situazioni che non sono prevedibili. E non è solo una questione di lockdown, perché la non prevedibilità è trasversale: l’epidemia è stata un’accelerazione di qualcosa che stava già accadendo.
Come il digital influenzerà gli sviluppi aziendali futuri?
Il digital sarà ancora più centrale: l’emergenza ha dimostrato quanto sia necessario insistere nello sviluppo delle infrastrutture e delle competenze digitali, quali upskilling delle persone, capacità di adeguarsi a nuove modalità di lavoro e nuove hard skills. Anzi, credo che sarà talmente tanto importante che il tema delle competenze per il digitale progressivamente sostituirà parte delle competenze di business oggi considerate essenziali. Faccio un esempio: ci sono alcuni modelli di business che sono fondati sulla monetizzazione dei dati. La domanda che mi pongo in questo caso è: “Dove comincia la competenza di business e dove quella digitale, e viceversa?”. Come le innovazioni che ci sono state negli ultimi anni, che hanno permesso di identificare nicchie di business completamente nuove. La mia forse è una visione più da startupper, basata anche sull’esperienza: ho sempre lavorato nel settore finanziario e i casi di nuovi competitor più veloci nell’identificare opportunità sono stati innumerevoli. E continua ad essere così. Questo per sottolineare come il digitale entri in maniera pervasiva su tutti i settori economici: tutti hanno un nuovo competitor che non si aspettavano di avere. Un trend molto comune negli ultimi 15 anni che prima non esisteva.