Sara Callegari è HR, HS & Procurement Director di Engie Italia, azienda attiva nel settore dell’energia in grado di offrire soluzioni innovative. In passato ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità in società petrolchimiche e del settore energetico quali Petrol Company, Elyo, Cofeli e GdF Suez Energia.

 

Come hai vissuto il lockdown in qualità di HR Director?

Oltre il 50% della nostra popolazione lavora presso i nostri clienti, che sono condomini, villette, ospedali, aziende, scuole; come prima cose era importante gestire le persone sul campo e poi quelle degli uffici.

Quando sono arrivate le prime restrizioni abbiamo dato la possibilità di scelta alle persone se lavorare in ufficio o a casa. Come Engie avevamo già un accordo dal 2014 sullo smartworking ed eravamo già attrezzati, a livello d tecnologia e di infrastrutture. 

Qui in Italia siamo stati dei precursori: siamo stati punto di riferimento per il Gruppo a livello di conoscenza e condivisione per tutto quello che stava accadendo.

Oggi vedo però la voglia di tornare in ufficio e io stessa vado in ufficio, perché stare a casa mi ricorda davvero la situazione che abbiamo vissuto, a livello di ritmi di lavoro e di responsabilità. 

 

Quali iniziative avete lanciato in quel periodo?

C’era paura e avevamo bisogno di comunicazione trasparente. Abbiamo scelto di essere tempestivi e chiari nella comunicazione: navigavamo a vista e raccontare in tempo reale cosa stavamo facendo ci ha aiutato a gestire le persone.

Abbiamo, inoltre, istituito una cellula di crisi: ci riunivamo tutti i giorni per monitorare l’evoluzione della situazione, dal reperimento dei DPI ai nostri contagi, per fortuna contenuti.

Abbiamo poi deciso di dare un contributo economico a chi era colpito da lutti e abbiamo dato a tutti i telefoni cellulari, abbiamo fatto azioni di solidarietà, donando anche giorni di ferie in un fondo. Con tutto quello che abbiamo raccolto abbiamo chiesto alle persone che cosa fare. Tre azioni: un anno di retribuzione per lutti tra i dipendenti, compensazione della cassa integrazione, elargizione di un premio ai tecnici che lavoravano negli ospedali. La risposta dei nostri tecnici è stata meravigliosa: abbiamo dato, ma abbiamo ricevuto tantissimo.

Abbiamo fatto anche un’azione di solidarietà verso gli ospedali, offrendo gratuitamente a tutti coloro che hanno attrezzato reparti Covid-19 la nostra energia. 

 

Quali sono state le richieste delle persone?

Inizialmente hanno chiesto informazioni e comunicazione. Hanno molto apprezzato che comunicassimo in modo tempestivo ogni decisione che veniva presa dall’azienda. Abbiamo fatto 41 accordi sindacali, lavorando tantissimo anche con le parti sociali, per dare un messaggio univoco. 

Abbiamo anche remotizzato tutti i nostri programmi di formazione, formando lo stesso numero di persone dell’anno precedente.

Abbiamo poi creato delle occasioni di incontro, “Una colazione con…” invitando persone extra Engie, quali sportivi, psicologi, formatori, con una visione diversa sul mondo e che avessero da raccontare storie di resilienza. 

In generale, ognuno di noi ha vissuto quei momenti a suo modo, qualcuno con la famiglia, qualcuno da solo, ma noi abbiamo cercato di gestire le ogni situazione e di stare vicino a tutti.

 

Come è cambiato il tuo lavoro e quello della tua funzione?

La cosa fondamentale per me è stato agire come facilitatore: ascoltare le persone, mettere in relazione bisogni dei singoli con quelli collettivi, facilitare il momento. Dare una visione di insieme e una lettura della complessità che è servita in questo momento più che mai, senza dare per scontato niente e parlando con i dipendenti, facendoli sentire ascoltati e compresi come persone nel loro complesso. Ho ricevuto tanti riconoscimenti di gratitudine per come si sono sentiti accompagnati.

A livello organizzativo, abbiamo introdotto una app per prenotare i posti in ufficio, così da garantire distanziamento e sicurezza.

 

Quali saranno le competenze per i manager del futuro?

Stiamo vivendo un’evoluzione che va in una duplice direzione: da un lato uno sviluppo sempre maggiore della digitalizzazione, dall’altro la necessità di umanizzazione. Il digitale è necessario e vitale, per semplificare e fluidificare i processi, ma l’umanesimo deve andare di pari passo: queste due cose devono integrarsi sempre di più. La macchina deve essere al servizio dell’uomo, e noi supportiamo i nostri manager a migliorare le loro competenze in questo ambito, ma al contempo le relazioni tra individui devono essere una parte fondamentale da coltivare, altrimenti si perde quello che nasce anche dall’incontro casuale. L’innovazione casuale non si può perdere, così come non si devono perdere la dimensione dell’intelligenza collettiva e la necessità di collaborare, di lavorare insieme ma con modalità diverse.

Secondo me già c’era un trend pre-Covid, la pandemia ha solo accelerato il cambiamento, sviluppando la capacità di organizzarsi, passando dalla visione per obiettivi al lavoro in autonomia.

 

Come sarà il futuro del lavoro?

Ho una visione che non so se si realizzerà nel futuro, e soprattutto tra quanto. Visto tutto quello che accade (mercato sempre più fluido, sempre più veloce) la cosa più importante per le persone è avere delle competenze forti e spendibili all’interno e all’esterno. Nel futuro vedo un’attenzione sempre maggiore non al ruolo, ma alle competenze, e gli organigrammi forse non avranno più senso, almeno come sono fatti oggi. 

E cambierà il mio ruolo: lavorerò di più sull’employability, per garantire a una persona di essere sempre employable, dando possibilità dentro e fuori l’azienda.

 

Come il digitale influenzerà lo sviluppo aziendale futuro?

Il digitale è un abilitatore e un facilitatore: dalla semplificazione, alla lettura dei dati. Quello che è necessario per far sì che si vada in questa direzione è lavorare sul momento attuale: noi in azienda abbiamo almeno cinque generazioni presenti e lavoriamo molto sulla contaminazione, sullo scambio di punti di vista relativamente ad alcune tematiche, perché questo è il metodo più produttivo per poter lavorare insieme.

Una trasformazione digitale non sarà facile in questo contesto: questo salto, in questo momento, è ancora vissuto come una minaccia. Bisogna lavorare sulla cultura, sul mindset e sulla cultura.