Luca Battistini è Direttore Risorse Umane e Organizzazione di Capp-Plast, azienda internazionale produttrice di materie plastiche per gli imballaggi. In passato ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità alternando società di consulenza ad aziende, fra le quali Mercato Centrale di Firenze/Roma/Venezia, Human Company, Sistema Ambiente Spa.

 

Come hai vissuto il lockdown in qualità di HR Director?

Sicuramente il 2020 è stato una sorta di “bolla spazio-temporale”. Abbiamo dovuto rimetterci in gioco tutti quanti per affrontare situazioni di contingenza che non eravamo pronti ad affrontare. Lo abbiamo fatto però grazie prima di tutto alla capacità di ascolto: ci siamo messi in discussione noi come HR e come comitato direttivo della società e abbiamo cercato di coinvolgere fin da subito anche quelle che sono le parti sindacali, per avere una gestione oculata della crisi.

Avevamo già istituto a dicembre 2019 le commissioni paritetiche interne in virtù del nostro nuovo patto sociale: è stato un “rinascimento” delle relazioni umane negli stabilimenti. L’obiettivo è stato favorire le relazioni in maniera proattiva: le RSU sono diventate qualcosa di più organico, parte integrante della gestione aziendale, organi consultivi per la governance dello stabilimento, propositivi nell’individuare problemi e suggerire soluzioni. Questa commissione ha fatto da camera di compensazione tra management e popolazione aziendale: in questo modo abbiamo affrontato le problematiche e subito comunicato le decisioni. Questo ci ha permesso in pandemia di essere molto reattivi, anche anticipando le decisioni delle ordinanze governative e regionali. La reattività che si veniva a realizzare era tale che quello che si proponeva era oggetto di veloce decisione e trovava immediata applicazione. Questo ha fatto sì che tutta la popolazione aziendale remasse verso un unico obiettivo: la resilienza.

 

Che cosa vi hanno chiesto le persone? E cosa avete introdotto per rispondere ai loro bisogni?

Gli stessi manager non si sono mai sottratti a quelle che erano le necessità o le situazioni difficili da gestire a livello psicologico: HR e la funzione che si occupa di sicurezza sul lavoro hanno fatto un’opera di ammortizzatore, di consultorio con le persone per far capire loro che qualunque problema avessero la porta era sempre aperta. Poi come azienda abbiamo avviato una serie di iniziative: abbiamo iniziato a fare tamponi a dipendenti e familiari, promosso coperture assicurative integrative, spesa a casa, babysitting, premi per i dipendenti che, nonostante fossimo in piena prima ondata pandemica, avevano dato la loro disponibilità per poter garantire l’efficienza delle linee produttive garantendo la loro presenza anche a marzo e aprile 2020, Altresì abbiamo applicato lo smartworking là dove possibile, inizialmente come misura cautelativa e via via che il nostro Contigencey Plan diventava sempre più operativo, lo abbiamo applicato con più discernimento anche per limitare una potenziale disparità di trattamento che si potrebbe generare negli stabilimenti produttivi. Ne consegue che in questa fase stiamo procedendo ad un ridimensionamento dell’utilizzo dello strumento  concedendolo solo alle persone con fragilità, ma il tema è aperto e di strettissima attualità quindi non posso escludere sviluppi ulteriori in assenza di interventi normativi centralizzati.

 

Quale sarà il futuro dello smartworking?

Non sono dell’idea di seguire la moda dello smartworking, credo sia un mezzo che va ridefinito, declinato meglio, lasciandolo alla contrattazione di secondo livello, perché ogni azienda ha le sue peculiarità. In un’azienda di produzione dove anche i singoli impiegati devono agire con qualità sulla programmazione della produzione e dialogare costantemente con i capi linea è un nonsense. A questo credo che si aggiunga un problema di equità: perché devo andare a sottolineare la differenza tra blue- e whitecollar quando il mio obiettivo è tutt’altro? Tutti abbiamo bisogno di contribuire ai risultati dell’azienda e per me è anche una questione etica e di rispetto. Ovviamente sempre tutelando i lavoratori fragili.

 

Quali sono le richieste che i collaboratori hanno avanzato?

Le richieste sono state le più svariate, anche di aiuto nelle interpretazioni delle norme. Molto spesso non sapevano come comportarsi, come spostarsi, come gestire i figli malati o i contatti indiretti. Abbiamo fatto riunioni una volta alla settimana con i sindacati per raccontare tutte le varie novità e i cambiamenti che c’erano. L’obiettivo erano l’ascolto e la condivisione: abbiamo condiviso tutto, anche il top management per far capire la vicinanza si è organizzato e ha fatto turnazioni notturne nel weekend per stare insieme alle persone. Era un’occasione di scambio per parlare, per parlarsi, per stare accanto. 

 

Come è cambiato il tuo ruolo e il tuo lavoro?

L’azienda è sempre di più l’unico vero punto di riferimento a fronte di una disorganizzazione degli enti e delle istituzioni, l’unico in grado di dare regole, di tutelare le persone, di “take care”, e le persone se ne sono rese conto.

Le risorse umane stanno cercando di “guidare” il processo anche in una nuova ottica di autoconsapevolezza del ruolo che il Covid ha aiutato a trovare o ritrovare. Lo sto dicendo da un po’ di tempo a questa parte: si sta assistendo a un nuovo “Umanesimo delle Risorse Umane“. Il business non può fare a meno delle persone e di tenere in conto le ricadute che esso ha sul territorio.

Oggi gli obiettivi dell’azienda sono soddisfare il cliente, far star bene le proprie persone e prenderci cura del territorio. Capp-Plast è un’azienda produttrice di materie plastiche, per antonomasia inquinante, ma la plastica, se gestita correttamente con un ciclo di lavorazione e rigenerazione, è un business da mille possibilità. Siamo da 60 anni sul territorio fiorentino-pratese e da 30 anni facciamo anche rigenerazione, portando innovazione sul territorio, che riconosce il nostro valore: è di questi giorni, infatti, la consegna del premio Stefanino d’oro (un premio molto ambito sul territorio che viene riconosciuto alla buona imprenditoria), che abbiamo vinto grazie alle segnalazioni del territorio. Questo riconoscimento è l’elemento tangibile del buon lavoro che è stato fatto.

Sempre in ottica di questo nuovo umanesimo, Capp-Plast è stata contattata dalle Nazioni Unite per essere inserita in un progetto con altre dieci aziende italiane: è un progetto promosso da UNHCR e valorizza il nostro modo di fare impresa e di relazionarci finalizzato a dare valore e valenza al rispetto e all’etica delle persone. Abbiamo aderito con entusiasmo: in 13 anni abbiamo accolto circa 130 immigrati delle più svariate etnie e nazionalità ed alcuni, oggi, ricoprono anche ruoli di responsabilità come capi reparto in reparti che sono il fulcro del business del gruppo. È un progetto che mi onora sia come uomo che come professionista. 

 

Com’è cambiato il ruolo della funzione HR?

Più che di cambiamento, parlerei di evoluzione e di autoconsapevolezza del ruolo, come dicevo prima. La funzione HR per svolgere bene la sua funzione deve essere certamente, ma non unicamente, una funzione di business partner, deve poter supportare i suoi clienti interni conoscendo bene le dinamiche che li riguardano. Serve un quid di tutto (marketing, programmazione, produzione, qualità) ed è importante che possa partecipare alla governance della società stessa. Deve essere, anche e soprattutto, un elemento superpartes del CDA: le risorse umane devono poter portare un valore aggiunto sul business legato alle relazioni umane.

Ma soprattutto, devono avere come obiettivo primario la valorizzazzione delle persone dell’organizzazione. Sono una funzione di interfaccia, che deve far dialogare il mondo dell’imprenditoria e la popolazione aziendale. 

 

Qual è il futuro che ci aspetta?

Il Covid-19 ha dato un’accelerazione e il cambiamento non può essere affrontarlo se non si tiene conto di 3 elementi: il digitale, l’economia e il fattore umano. Queste sono tre macro-aree che le aziende ora e nei prossimi mesi devono affrontare.

La digitalizzazione ha cambiato il metodo di relazionarsi, i processi, le persone che gestiscono i processi. E si può cambiare il sistema informativo, aumentare la digitalizzazione, ma le macchine hanno bisogno delle persone: se non si investe sulle persone non abbiamo cambiamento e non abbiamo capitale su cui andare a promuovere investimenti. È un cerchio di Moebius, ma le persone sono sempre al centro. 

Innovazione di processo, sapiente business plan per valutare bene le eventuali azioni e omissioni che possono portare ad aumenti e decrementi di fatturato, in terzo luogo una rivisitazione die rapporti umani all’interno dell’azienda. Rapporti umani improntati al rispetto, di valorizzazione delle diversità e dell’inclusione, più di quanto non abbiamo fatto fino a oggi. È il momento di lavorare su questi aspetti, che non sono altro che una visione diversa di un concetto di sostenibilità sfaccettato e che noi vorremmo andasse oltre, con l’obiettivo di marcare il concetto di sostenibilità di lavoro, produzione, economia di esercizio, inquinamento, efficientamento energetico, senza trascurare il well being in azienda. Il nostro nuovo patto sociale del 2019 già va in questa direzione, ma è solo il primo passo di un lungo cammino di cambiamento delle coscienze.

 

Quali saranno le competenze dei manager del futuro?

Sempre di più ci si deve basare sulle soft skills, che stanno assumendo un ruolo centrale. Sto parlando in particolare della capacità di gestire il cambiamento, di gestire i team, di saper ascoltare, di essere propositivi, dello stress tollerance, della capacità di essere anche dei brand ambassador dei valori dell’azienda. Il purpose per noi deve essere un must nell’esercizio di breve termine e fa parte del cambiamento: la motivazione per cui produciamo, dove vogliamo arrivare… 

Abbiamo lavorato tanto sui valori aziendali e vogliamo che siano condivisi con il nostro cliente interno, affinché sia allineato rispetto alle nostre reali motivazioni, per camminare tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno.

I manager devono sposare questa nuova linea, devono essere i portatori sani dei valori di Capp. La figura del manager, al di là delle competenze tecniche per cui viene scelto, dovrà portare con sé delle competenze che incarnino i valori dell’azienda.

 

Come il digitale cambierà il business?

Il digitale impatterà tantissimo. Stiamo lavorando per diventare industria 4.0 e stiamo lavorando per spingere l’interazione uomo macchina, con l’obiettivo di aumentare l’interazione uomo-macchina e la digitalizzazione del processo con i tools che le piattaforme ci mettono a disposizione. Dall’altro lato dobbiamo aumentare il livello di digitalizzazione delle persone. Chi sta sulla linea non è colui che monta pezzi, ma ha bisogno di saperne di digitale, perché si deve relazionare attraverso il digitale. Se non si possiede una conoscenza digitale media e avanzata non si è produttivi. Con gli operai qualificati facciamo formazione continua sui temi della digitalizzazione del processo, sui near miss e sulla qualità.

L’evoluzione digitale è doverosa, non ci si può tirare indietro, ma potremmo farla step by step. Non ci si può permettere di essere troppo avventurieri, perché dobbiamo portare avanti il capitale umano sul processo di digitalizzazione.