Francesco Caccavo è HR Director di Douglas Italia, azienda leader nel retail del mondo beauty. In precedenza ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità nel mondo HR lavorando con La Gardenia e Limoni, aziende che sono poi nel tempo confluite nel gruppo Douglas.

 

Come hai vissuto il periodo della pandemia in qualità di HR Director?

Nel periodo pre-pandemia si è discusso molto a proposito delle nuove tecnologie per il mondo HR: si parlava tanto di ATS, di AI, e leggendo tanti interventi su LinkedIn mi rendevo conto che sì, la tecnologia è e sarà sempre di più un ausilio importante, ma notavo anche che non c’era, spesso, una piena consapevolezza di come si gestivano davvero le persone. Una macchina non può gestire le persone, può fare lavori ripetitivi, ma gestire le persone è altro, perché parliamo anche del lato emozionale e di quello razionale dei collaboratori. Dico questo perché negli ultimi anni ho visto un progressivo e costante allontanamento dalla gestione delle persone e un eccessivo spostamento verso il digitale come panacea per tutti i problemi.

Seguivo l’evoluzione del Covid-19 in tempi non sospetti, perché studiavo cinese. Le insegnanti cinesi dalla Cina mi avevano raccontato di questa influenza preoccupante. Già a gennaio consigliai all’azienda di dotarsi di un protocollo di sicurezza, così da essere pronti, sulla falsariga di quanto fatto per il virus H1N1 nel 2009. All’inizio trovai una certa dose di scetticismo nei colleghi, ma insistetti. E definimmo un piano di sicurezza in bozza. Quando a febbraio iniziò a manifestarsi la pandemia, partimmo da quel piano per sviluppare una serie di informative volte a spiegare ai colleghi che cosa fosse il virus, dare informazioni sulla patologia, e tutto questo prima ancora che ci fosse il lockdown. Poi mi occupai di fare un Recovery Plan di urgenza da applicare nella malaugurata ipotesi che la sede direzionale di Milano fosse stata chiusa. In molti dicevano: “Figurati se chiudono Milano!”. Quando poi avvenne, mi resi realmente conto di come la Direzione del Personale fosse diventata centrale: tutti i dipendenti cercavano un consiglio su come fare, come organizzarsi, e questo ha fatto tornare alla realtà molte persone e molti manager che quasi consideravano superata la Direzione HR.

 

Quale sarà il futuro della funzione HR, anche alla luce di quello che è successo?

Chi lavora nelle risorse umane deve avere tante competenze. Non sono personalmente soddisfatto del livello culturale medio delle funzioni HR: vedo poca preparazione o comunque, spesso, verticalizzata su pochi argomenti. Malgrado ci siano ormai tanti corsi, anche specialistici, questo è un lavoro che necessita di tantissima esperienza. La funzione HR deve avere elevate competenze in tutti i settori: il Covid-19 ha evidenziato l’esigenza di possedere una visione organizzativa, pronta a evolvere e a cambiare (anche pensando alla fluidità delle organizzazioni), con competenze di relazioni sindacali e industriali, ma allo stesso tempo con la capacità di gestire i costi del personale e di capire quali sono le modalità di gestione in sicurezza dell’azienda, così come garantire il corretto livello di servizio e la crescita delle persone. Ci sarà anche l’esigenza di inserire persone per supportare l’evoluzione digital: era già un’idea e un percorso avviato, ma sicuramente il Covid-19 lo ha accelerato.

Ci sarà, quindi, bisogno di una leadership diversa: il Covid-19 ci ha imposto il remoto, che sarà in futuro un elemento costante in tantissime realtà, anche se fronteggeremo limiti organizzativi e strutturali non facilmente superabili.

 

Quali saranno, invece, le competenze che i manager del futuro dovranno possedere?

Oggi giorno noi abbiamo una generazione di giovani che sta già lavorando nelle aziende e che ha una visione chiara del mondo del lavoro del futuro e di ciò che si aspettano: sono persone che vogliono avere un obiettivo nella vita, che lavorano per esso, che non lavorano per la sola retribuzione, che si aspettano percorsi di crescita strutturati: ragazzi che, in un modo o nell’altro vogliono lasciare il segno. Ovviamente, per gestire queste persone abbiamo bisogno di manager che siano leader e che possano coordinare e supportare i collaboratori in contesti diversi, con generazioni che hanno visioni e aspettative diverse. 

Oggi il leader deve essere in grado di mettersi in discussione, di gestire in modo cooperativo e non direttivo, di creare ambienti prodromici che incentivino la creazione di idee nuove, perché le idee nuove nascono dalle nuove generazioni. Il mio ruolo è di incentivare e fare in modo che questo accada.

 

Qual è il futuro del digitale in azienda?

La tecnologia ha il grande vantaggio di ridurre o annullare ostacoli organizzativi: la video call ci permette di accelerare e di ridurre costi e tempi. Così come velocizzare i processi: quello che facciamo con il telefonino ci rende più produttivi.

L’Intelligenza Artificiale è una tecnologia finalizzata sempre a facilitare il lavoro, a renderlo più efficiente, a migliorarlo, ma, dal punto di vista umano, la tecnologia non migliora il clima di un’azienda, non genera idee. È un elemento accessorio, è un elemento di facilitazione, è un catalizzatore di alcuni processi ma si tratta di algoritmi che “imparano” dalle cose già fatte: difficile per un sistema basato su AI pensare “out of the box”, azzardare, scommettere. La valutazione di quello che si è, che si vuole diventare, l’innovazione e il futuro nascono dall’individuo e dai contesti. 

Uno dei principali problemi nati con il Covid-19 è la necessità di trovare il giusto equilibrio tra gestione in presenza, con il mantenimento della relazione umana, che è imprescindibile, e la capacità di gestire progetti e di tenere alto l’engagement da remoto. Il rischio maggiore del lavoro da remoto riguarda i giovani, che hanno una limitazione nell’apprendimento. Tutto ciò che agevola, come la tecnologia, ben venga.

 

Che cosa vi hanno chiesto le persone durante la pandemia?

Passato il primo periodo emergenziale, i responsabili hanno proprio chiesto di capire come gestire le relazioni con i collaboratori a distanza, come tenere alto l’ingaggio e la motivazione in un contesto di forte preoccupazione. Cambia anche la relazione di fiducia nel lavoro da remoto: ci deve essere un livello di fiducia che è relativo rispetto ai compiti e alle attività che ciascuno ha e che attiene alla loro responsabilità. Laddove questa veniva meno per mancanza di tempo, feedback, valutazione delle persone, etc. a volte c’era scollamento. Con il lavoro a distanza le persone non sentivano sempre fiducia e il manager a sua volta sentiva il collaboratore lontano e poco coinvolto. Il Covid-19 ha portato a chi era abituato a gestire i collaboratori con un rapporto diretto e senza delega ad avere grossi problemi. Questa è stata una delle richieste di aiuto che sono pervenute. Al contrario le persone hanno sofferto il distacco, un po’ perché imposto, un po’ perché troppo lungo. Le persone hanno bisogno di condividere, di essere parte di un gruppo, di lavorare per uno scopo comune. 

 

Quali iniziative avete lanciato a supporto dei vostri dipendenti nel periodo della pandemia?

Abbiamo cercato di lavorare su processi formativi e lanciato iniziative di supporto per i manager, per accompagnarli in un cambiamento ormai strutturale. Abbiamo avviato momenti di confronto online e cercato di trovare dei momenti più scherzosi per recuperare la parte più umana dello stare insieme, sempre in remoto. 

Quando si avvia un processo di questo tipo si cerca di resettare la situazione. Resettiamo, iniziamo e piano piano costruiamo un piano di intervento più mirato. Anche i manager hanno avuto qualche resistenza, perché i manager sono prima di tutto uomini.

 

Come sarà il futuro del vostro business grazie al digitale?

Il business nel retail sta cambiando e c’è una riscoperta del momento della vendita. In passato più veloce era e meglio era, il nostro futuro sarà un po’ diverso: il negozio rimarrà elemento di contatto con il cliente e soprattutto con la popolazione femminile (la popolazione maschile è diversa: cambia approccio mentale e comportamentale. L’uomo entra in profumeria per comprare, la donna ci va anche per vivere un’esperienza), ma sarà fortemente mixato con l’online. Ad oggi, infatti, la parte sensoriale non può essere sostituita da un sito o da una app, credo dunque che l’elemento di crescita sarà nella relazione con il cliente.

Rimane comunque un dualismo da far convivere: la vendita online con una esperienza, più appagante dal punto di vista sensoriale, in negozio. La soluzione dovrà essere win-win: il cliente sarà seguito meglio, con più attenzione e con esperienze multisensoriali diverse. Abbiamo già intercettato esigenze diverse nate durante il lockdown, sia di tipo innovativo (make-up school in remoto) che di supporto a clienti (in genere di una certa età, che non hanno accesso a internet) con un call center dedicato con cui abbiamo fatto vivere comunque un’esperienza di acquisto online. Il rapporto telefonico è stato apprezzato perché personalizzato, e questo ci ha insegnato che serve attenzione e un approccio sempre più personalizzato e consulenziale. Il commercio non si sta autodistruggendo, si sta diversificando.