Come Direttore HR, come hai vissuto il lockdown? 

Direi bene, nel senso che fortunatamente avevamo cominciato già da parecchio tempo ad investire su alcune tematiche strategiche, come lo smartworking, l’utilizzo dei canali digitali per la consulenza alla clientela, la leadership diffusa e la gestione dell’errore. Diciamo dunque che siamo arrivati abbastanza preparati, e non abbiamo riscontrato problematiche particolari. Certo, abbiamo vissuto la fase iniziale della prima ondata con apprensione per la salute di tutti i dipendenti e per le preoccupazioni che le persone avevano. Poi ci siamo un po’ stabilizzati (e forse illusi). Ora questa seconda ondata ci dà di nuovo apprensione perché percepisco nelle persone più stanchezza e molta più preoccupazione. Ci siamo già scottati una volta, la “pelle è più sottile” … e la tolleranza è più bassa. Le persone sono più disorientate e si sentono in balia degli eventi.

Quali iniziative e azioni avete lanciato nel corso del primo lockdown?

Abbiamo cercato di essere molto vicini alle persone, stimolando e favorendo al massimo lo smartworking. Circa il 90% di esse ha lavorato e lavora da casa. Tutte erano già dotate dei device necessari per lo smartworking. Abbiamo anche cercato di favorire il lavoro da remoto per la rete, compreso un mestiere difficile da “remotizzare” come il cassiere, alternando la presenza fra mattina e pomeriggio nelle filiali, così da esporre meno le persone al rischio da contagio.

Dal punto di vista del welfare, abbiamo rafforzato il servizio di supporto psicologico (già presente in azienda), anche con seminari a libera partecipazione per tutti i dipendenti, abbiamo messo a disposizione un numero verde per informazioni mediche, che è andato a sopperire i momenti in cui la sanità pubblica era un po’ in affanno, e abbiamo potenziato le coperture assicurative.

Come avete supportato le persone nella gestione quotidiana del lavoro in smartworking?

Diciamo che in lockdown abbiamo fatto remote working forzato più che smartworking: eravamo tutti a casa, figli compresi. Abbiamo predisposto video di supporto psicologico e seminari, formazione ad hoc per una gestione ottimale del lavoro in smartworking e per aiutare i capi a gestire le persone in smartworking, per insegnare ai genitori ad affrontare la situazione con i propri figli e per supportarli nella gestione del quotidiano mettendo a disposizione una piattaforma di didattica a distanza. Abbiamo inoltre previsto un supporto all’attività fisica, con micro pillole pensate con Technogym. 

Come HR abbiamo parlato alle persone attraverso incontri in video, per testimoniare vicinanza.

Come la pandemia ha cambiato il modo di lavorare?

La pandemia è stato un acceleratore incredibile. Ci ha fatto fare un balzo in avanti di almeno 5 anni e ci ha permesso di portare rapidissimamente all’interno delle aziende nuove modalità di lavoro. Lo smartworking che prima era una grande opportunità è diventato la normalità, il nuovo modo di lavorare. Da questo punto di vista questa situazione è stata una grande opportunità, ci ha fatto mettere in discussione, ci ha portato a cambiare il modo di relazionarci e ad instaurare relazioni più empatiche, perché ci ha ha consentito di entrare nelle case delle persone, di conoscerci meglio anche nella nostra dimensione più personale. Questo momento ci ha fatto scoprire grandissime potenzialità dei singoli e ha spinto i manager a lavorare su una nuova dimensione della relazione.  

E’ quindi fondamentale cambiare approccio e come HR stiamo accompagnando le persone in questa nuova modalità di lavorare: passando ad una dimensione del lavoro per obiettivi e non per compiti, basato sulla libertà d’azione delle persone, pur nel rispetto degli altri, lasciando che le persone si organizzino come meglio ritengono, lasciando autonomia e puntando sull’autorganizzazione. Questo abbiamo imparato e vogliamo mantenere: avevamo già un approccio evoluto, ma da questa situazione dobbiamo trarre ulteriore fiducia e spingere ancora di più sullo smartworking come qualcosa di ordinario e non di straordinario, sulla consulenza alla clientela tramite canali digitali e in video conferenza (ad esempio su Meet) e tramite l’utilizzo della firma digitale sulla contrattualistica, per accompagnare anche i clienti in questa transizione e dare loro un servizio di qualità in tutta sicurezza senza che debbano necessariamente uscire di casa per recarsi in banca.

Come ci si aspetta che saranno i manager in futuro in termini di competenze e comportamenti?

Dovranno essere in grado di fare emergere la leadership diffusa dai propri collaboratori, dare fiducia e saper gestire l’errore, consapevoli che per eccellere bisogna accettare che loro stessi o i loro collaboratori sbaglino e apprendano dagli errori. Questo si può sintetizzare in un approccio evoluto alla Diversity & Inclusion: valorizzare il come ognuno di noi affronta le situazioni, senza standardizzare i comportamenti, ma anzi esaltando le differenze e valorizzando l’unicità di cui ognuno è portatore.

C’è poi un tema di rispetto delle persone che passa anche attraverso le piccole cose, su cui stiamo già lavorando, ad esempio suggerendo alle persone di evitare le email tra le 18 e le 6 del mattino e nei weekend.

Come è cambiato il tuo ruolo di Direttore HR?

In generale credo che l’HR Director debba essere protagonista del cambiamento dell’azienda in termini di vision e debba lavorare sui comportamenti delle persone.

L’unica certezza che abbiamo è che il futuro sarà molto incerto, molto instabile. Per questo noi per primi dobbiamo lavorare su noi stessi, sulla capacità di autoformarci, sulla resilienza, sulla capacità di metterci in discussione, di osare, di fare e di sbagliare… e dobbiamo diffondere questo mindset, che porta il successo al singolo, all’azienda e alle persone.

Abbiamo, inoltre, la responsabilità di far comprendere alle persone che ci occupiamo e preoccupiamo di loro come persone, e non come risorse umane. Se mi preoccupo di te come persona riesco ad avere una vision più lungimirante, a lavorare sui tuoi comportamenti, a trasmettere alle persone fiducia. E quando le persone stanno bene lavorano bene, hanno successo e di conseguenza ne avranno le aziende.

Proviamo a fare uno sforzo più di immaginazione e a proiettarci in un futuro di più ampio respiro: come sarà?

Credo che in tempi molto rapidi avremo cambiamenti molto forti. Il rapporto tra persona e azienda dovrà essere sempre più di tipo imprenditoriale, e questo sarà l’approccio che caratterizzerà tutti i tipi di lavoro, anche quelli più ripetitivi. Senza questa evoluzione le persone verranno sostituite dalle macchine, e questo diventerà un problema sociale oltre che di business. Noi dobbiamo stimolare le persone ad agire un cambiamento di questo tipo: oggi siamo abituati ad una cultura in cui gli altri ci dicono quello che dobbiamo fare, mentre il futuro prevederà un rapporto diverso con l’azienda, perché l’azienda sarai tu, e insieme alle altre persone farai l’azienda. L’imprenditore sono io nel mio piccolo, ma è un “io che cosa posso fare” in un rapporto di fiducia reciproca tra persone e azienda. E questo sarà secondo me il modo di gestire un futuro caratterizzato da cambiamento, incertezza, volatilità, dove le persone devono essere in grado di fare upskilling e reskilling continuamente.

Cosa ha fatto la differenza in questo 2020?

Credo l’engagement: oggi le aziende che si sono fatte trovare pronte hanno il tasso di coinvolgimento delle persone ai massimi livelli. Abbiamo dato autonomia e libertà: se investo sulla leadership diffusa non ho bisogno di dire alle persone come devono approcciare una situazione o un’altra, e in questo modo abbiamo comunicato a loro fiducia.

Ci siamo concentrati molto anche sull’ascolto, fatto molte survey sullo smartworking, sul capo e sulla relazione, sul New Normal. Abbiamo ricevuto tanti ringraziamenti, avuto molta partecipazione, anche perché lavoriamo tanto sulla comunicazione, sulla vicinanza alle persone “mettendoci la faccia”, cercando anche coerenza tra azienda – manager e collaboratori. Il capo deve dare l’esempio, perché ha una responsabilità sui comportamenti.

Abbiamo dimostrato alle nostre persone che ci vogliamo mettere in discussione, come sul tema della Gender Diversity: stiamo lavorando tanto e abbiamo ottenuto la certificazione di equità retributiva tra uomini e donne, unica banca in Italia e seconda azienda Italiana. 

Mettersi in discussione è per noi il modo migliore per costruire il futuro.

Come il digitale farà la differenza negli scenari futuri di business?

Il futuro sarà sempre più digitale. Abbiamo cominciato nel 2017 a lavorare sul profilo digitale delle persone: abbiamo fatto un assessment sulla “Digital Readiness”, per poi lavorare sulla awareness grazie a un percorso di formazione. Nel 2019 abbiamo fatto una seconda volta l’assessment e stiamo ripartendo con il percorso formativo.

Lato interno e di business, vedo la necessità di un efficientamento sui processi per renderli paperless e con la firma digitale, per dire finalmente “basta carta”.

Il digitale fa meglio di ognuno di noi un sacco di cose e h24. Il digitale però non è tutto, perché il fattore umano fa ancora la differenza: concentrare la parte human su quello su cui possiamo mettere del valore aggiunto risulterà un vantaggio competitivo. Se non avessimo cavalcato il digitale non avremmo potuto gestire questo momento e capire appieno che l’azienda può funzionare lo stesso anche a distanza. 

Mi preoccupa molto chi non vede l’ora che arrivi il New Normal per tornare a quello che faceva prima: chi affronta così il presente è destinato a soccombere. Il New Normal non sappiamo come sarà, ma abbiamo solo la certezza che non sarà come prima e così sarà per il nostro modo di lavorare. Dobbiamo lavorare in un modo diverso.