Cosa è successo nella tua azienda quando è scattato il lockdown?
Daiichi Sankyo in Italia ha una filiale commerciale vasta e dislocata sul territorio e un’unica sede, a Roma. Quando è scattato il lockdown la rete commerciale ha ufficialmente avviato la prima esperienza di smartworking, anche se in realtà in quella precisa fase abbiamo quasi interrotto le comunicazioni con l’utente finale, il personale clinico. Abbiamo chiuso la sede e al contempo aperto un tavolo di lavoro costante, a cui partecipavamo io e l’Amministratore Delegato, con l’obiettivo di gestire al meglio la situazione.
Quali sono state le richieste dei collaboratori in quel periodo?
Durante il lockdown c’erano bisogni quotidiani. Ci siamo mossi fin da subito per aggiornare le nostre dotazioni tecnologiche, il ché ci ha permesso di rimanere in contatto con il mondo. E poi abbiamo imparato e sperimentato insieme ai collaboratori: come gestire una riunione da remoto, come presentarsi e prepararsi, come comunicare a distanza con gli operatori clinici. Il tutto anche grazie a percorsi formativi ad hoc, soprattutto per i nostri Informatori Scientifici.
Come sono cambiate le relazioni in azienda?
Le relazioni sono indubbiamente cambiate sia dentro che fuori dall’azienda. Una collega che lavora sul campo e che appartiene alla mia generazione mi aveva confessato di essere molto scettica in merito alla possibilità di gestire la relazione a distanza con i clinici. Poi, invece, ha scoperto che quando schedulava un incontro, per almeno 5-10 minuti la ascoltavano davvero, e questa grande attenzione che avevano nei suoi confronti quasi la inibiva, perché aveva incontrato medici che le stavano dedicando del tempo nel momento in cui di tempo non ne avevano. E questo per noi fa la differenza nel lavoro che facciamo.
Possiamo poi dire che internamente è cambiato il rapporto capo–collaboratore: si sono trovati più a loro agio quei manager che hanno un approccio alla leadership più “nordeuropeo”, che convocano riunioni quando c’è qualcosa di cui parlare, che sono più strutturati. Forse più formali come capi, ma sicuramente più efficaci. Mentre il capo con uno stile che io chiamo “da chioccia” ha sofferto molto di più il distacco dal gruppo e si è dovuto ritarare, adottando un diverso stile manageriale.
E tu, in qualità di HR Director, come hai vissuto la primavera del 2020?
Beh, io per primo non ero certo attrezzato ad affrontare quello che è successo: pur facendo l’analisi dei rischi una volta all’anno, a nessuno era venuto in mente uno scenario simile.
Il mio ruolo si è confuso anche con il ruolo del Responsabile Sicurezza. Abbiamo fermato tutte le persone 24 ore prima del lockdown, ci siamo ritrovati in sede con l’Amministratore Delegato, abbiamo costituito un comitato di emergenza che si riuniva tutte le mattine. Insomma, un periodo davvero movimentato.
Devo dire però che questa esperienza mi ha dato una grande opportunità: quella di entrare nelle case di tutti, colleghi e dipendenti, perché di fatto io e gli altri manager membri del comitato di emergenza rappresentavamo dei punti di riferimento per qualunque necessità, e questo ha giovato all’immagine interna dell’organizzazione.
Quali riflessioni vi ha portato a fare questo cambiamento repentino di scenario?
Sicuramente abbiamo ricavato diversi spunti di riflessione: ad esempio, abbiamo visto che si riesce a raggiungere l’interlocutore anche con altre modalità, e non solo con la presenza fisica. Questo ci fa riflettere e ci invita a non disperdere quello che abbiamo capito e imparato, e a chiedere alle nostre persone sul campo di mettersi sempre alla prova.
A livello commerciale sicuramente il modello di relazione a cui ci spingeremo sempre più è l’ “hybrid model”, che affianca all’interazione tradizionale quella digitale, con un’equipe di persone interna all’azienda dedicata all’organizzazione di video-conference con i medici per illustrare i contenuti scientifici attraverso la presentazione di dati clinici e di studi. È in quei momenti che la concentrazione del medico è massima e si è più efficaci.
Abbiamo infine attivato dei canali di comunicazione specifici con le aziende dei grossisti per l’approvvigionamento dei farmaci negli ospedali, e questo alla lunga potrebbe portare anche ad una trasformazione parziale della rete commerciale.
Quali buone pratiche sistematizzerete?
Il caffè condiviso in smartworking, ad esempio. Oggi noi possiamo decidere di lavorare in ufficio o di stare a casa, effettuando turni. Siamo però consapevoli che la circolazione delle informazioni avviene soprattutto in ufficio, e stando a casa manca anche l’occasione per chiedersi: “Come va?”. Abbiamo dunque deciso di installare una telecamera alla macchinetta del caffè, sempre accesa, con la possibilità per tutti i collaboratori di collegarsi da casa e chiacchierare a distanza, davanti a un caffè, quasi come se fossero tutti in ufficio.
Grazie ad una survey abbiamo inoltre raccolto molti spunti dai colleghi e deciso di implementare alcune idee con un’attenzione particolare all’engagement e allo sviluppo delle competenze, in una logica di crescita continua del business.
Stiamo lavorando molto anche sulla comunicazione interna, e stiamo usando Yammer come social network interno attraverso cui i diversi business e le varie funzioni aziendali si raccontano, così da massimizzare la circolazione virtuale delle informazioni.
Non da ultimo, la formazione da remoto continuerà: è più agevole, non ferma i venditori e abbassa i costi della logistica.
Ecco, una preoccupazione che stiamo affrontando è quella relativa all’eccesso di smartworking, che non rende facile l’interazione, e che ha come conseguenza una diminuzione della comunicazione interfunzionale, perché ogni Direttore tende a preoccuparsi di interagire con i propri collaboratori solo per il raggiungimento degli obiettivi, e nulla più.
Come è cambiato il ruolo dell’HR Director?
L’HR Director deve essere meno HR e più facilitatore di processi interni. Deve essere anche più vicino al business, e per comprenderlo appieno ha bisogno di esporsi, essere in contatto con i clienti, incontrarli e conoscerli. E poi deve essere facilitatore di quella collaborazione strategica e necessaria tra le funzioni. Le organizzazioni tenderanno sempre più ad essere focalizzate su gruppi di lavoro specifici, in base alle esigenze, e questo richiede che si diventi sempre più Agile Organization.
Ecco, gli HR hanno l’importante compito di individuare le competenze necessarie allo sviluppo del business e di acquisirle dall’esterno, anche temporaneamente. Sono dell’idea che ormai non si necessiti di avere tutte le competenze all’interno, ma vedo le aziende costituite da circoli ristretti interfunzionali, aperti all’inserimento di consulenti esterni. Questo permetterebbe di avere risultati certi a costi più bassi per il raggiungimento dell’obiettivo in un tempo determinato.
Personalmente, oggi opero sempre più a supporto del Managing Director, e questo è più gratificante rispetto al passato, quando ero quasi a disagio ad applicare teorie collaudate che arrivavano dalla consulenza strategica. Sto e stiamo crescendo in termini di cultura organizzativa e di attenzione alla Customer Centricity.
Quali nuove competenze o attitudini dovranno possedere i manager per affrontare le sfide che ci attendono?
Prima di tutto, l’apertura mentale, che per me è la capacità di leggere gli scenari in continua evoluzione. Inoltre, devono essere ottimi interlocutori, coordinatori, facilitatori e motivatori dei propri team; dunque diventa cruciale lavorare molto sull’engagement delle persone, dichiarando qual è l’obiettivo che si desidera raggiungere nel breve termine. Penso soprattutto a quelle progettualità interfunzionali, dove i manager non hanno persone a riporto diretto, ma, per raggiungere l’obiettivo, possono agire sul coinvolgimento e sulla visione.
Quale ruolo giocherà il Digital negli sviluppi aziendali futuri?
L’esperienza recente ci ha portati a comprendere due elementi: la necessità di avere all’interno dell’organizzazione dei tecnici dell’area Digital per il supporto alle funzioni, e la possibilità di coinvolgere la consulenza per un approccio più strategico al Digital, inteso anche come uso delle piattaforme aperte e dei social media.
Il Digital è come un cancello che si apre e ci spalanca di fronte nuovi approcci e nuove opportunità di business. Credo che, da questo punto di vista, spesso valgano di più le idee e le opinioni di miei collaboratori più giovani, che non le mie o quelle di persone della mia generazione. E proprio per questo abbiamo lanciato da poco un progetto per lavorare sull’Employee Advocacy, con l’obiettivo di individuare all’interno dell’organizzazione dei micro-influencer che sappiano più di altri esprimersi e comunicare in modo efficace online.