Come hai vissuto la pandemia in qualità di HR Director?
Tutti siamo persone e tutti abbiamo vissuto la pandemia: l’impatto sull’ambiente di lavoro e su quello familiare, nel mio caso con due figli piccoli, è stato significativo. La sfida è stata riuscire a bilanciare le richieste lavorative con le richieste familiari, e provare, a un certo punto, anche il diritto alla disconnessione, per un ribilanciamento dei due ambiti di vita.
Come azienda, come avete gestito la pandemia?
Avevamo già previsto l’arrivo della pandemia. Infatti, avevamo già gestito la situazione emergenziale sin dall’inizio per i nostri colleghi in Cina. Abbiamo quindi adottato dei protocolli di sicurezza per garantire l’incolumità e, di fatto, quando è arrivata in Italia, eravamo pronti a gestirla. Gli uffici e i negozi sono stati chiusi per tre mesi, di conseguenza abbiamo dovuto gestire anche una contingenza di business che nel breve periodo si è tradotta in un impatto negativo sulle vendite. Abbiamo posto in essere una serie di azioni per ridurre i costi e salvaguardare il cash flow aziendale e la produttività, che fortunatamente non ha registrato un calo, tutt’altro. In aggiunta e non da ultimo, abbiamo esteso la modalità di lavoro agile, già presente nella nostra policy.
La pandemia si è dimostrata essere per noi anche un banco di prova per lanciare ai dipendenti un messaggio forte di attenzione: infatti, anche se il business è calato in maniera significativa, abbiamo definito delle compensation guidelines secondo le quali i dipendenti non dovevano perdere più del 10% del proprio stipendio, dando loro dunque stabilità finanziaria pur con la priorità del taglio dei costi. Al contempo abbiamo avviato azioni di bilanciamento finanziario che hanno previsto la riduzione salariale per dirigenti e top manager con l’obiettivo di finanziare la parte di sostegno alla popolazione aziendale, dando internamente un messaggio forte di equità.
Per quanto riguarda la sicurezza abbiamo creato degli standard e dei protocolli di sicurezza all’avanguardia e abbiamo attivato una campagna di test e tamponi rapidi volontari ogni due settimane per tutti i dipendenti. Abbiamo rivisto i layout e contingentato le presenze per garantire a tutti la massima sicurezza. I nostri dipendenti hanno apprezzato molto la decisione dell’azienda di lasciare i dipendenti liberi di decidere se lavorare da casa o dall’ufficio. A tal proposito, siamo stati selezionati dalla Regione Veneto come azienda pilota per sperimentare i test per la gestione della pandemia.
Quali competenze avete sviluppato tu e il tuo team in questo difficile periodo?
Sicuramente la resilienza: ci sono stati momenti difficili, e abbiamo cercato di aiutare i nostri dipendenti a non farsi travolgere per quanto possibile da problematiche che vanno oltre il nostro controllo, guidandoli a capire che possiamo anche noi guidare il nostro destino. In parallelo abbiamo attivato un servizio di Employee Assistance con l’obiettivo di fornire un’ampia gamma di tipologie di supporto e counseling gratuito ai dipendenti.
Un ulteriore fattore è stato l’empowerment: in contesti come questi, anche le modalità organizzative e di lavoro cambiano inevitabilmente; abbiamo dunque invitato le persone a prendere le decisioni che ritenevano più opportune per il proprio lavoro. Questo si sposa molto con la nostra cultura, perché ci consideriamo un’azienda con un forte imprinting imprenditoriale. Infatti, qui in Italia abbiamo un headquarter globale da cui decidiamo tutto, dal piano strategico all’esecuzione, e questo è un principio importante che abbiamo trasferito anche come dimensione valoriale che vogliamo sia distintiva per ogni dipendente.
Come pensi che stia evolvendo la funzione HR in azienda?
Un tempo l’HR era una funzione di servizio e amministrativa, ora siamo più una funzione di Business Partner e diventeremo sempre più un integratore di funzioni di business. Sicuramente manterremo il valore aggiunto nell’essere connettori di energie nell’organizzazione e nel creare le condizioni culturali ideali.
Il ruolo delle Risorse Umane è poi anche quello di farsi promotore dei valori aziendali, in modo tale che siano sentiti, vissuti e rappresentino la base su cui ogni dipendente si identifichi: questo elemento si concretizza nel fare in modo che le persone abbiano in azienda un purpose e dei valori di cui sono consapevoli. In questa cornice è importante che questi valori siano permeati e coltivati in tutte le funzioni aziendali, affinché il branding valoriale non viva solo sulla carta.
Come vedi il futuro del mondo del lavoro?
Se guardiamo al futuro avremo un’ageing population, con tante generazioni al lavoro: dovremo lavorare affinché non si avvertano i gap, ma anzi questi diventino un fattore di condivisione.
Immagino un futuro del mondo del lavoro diverso da quello che il mondo della scuola crea oggi: andrebbe rivisto il modello culturale-formativo, dalle scuole superiori al mondo universitario, affinché possa essere in grado di formare non solo su competenze tecniche (che nel tempo diventano obsolete) ma di creare persone di visione aperta che sappiano pensare, valorizzare il contributo degli altri, interessate al mondo dell’innovazione e della tecnologia. Quando oggi in azienda assumiamo, paghiamo un gap in termini di conoscenza pratica del mondo del lavoro rispetto al Nord Europa (dove il coinvolgimento professionale degli studenti avviene prima). È importante anche affinare una certa scelta di indirizzo: ai nostri laureati manca una visione chiara di quello che vogliono fare perché spesso non si conosce il mondo delle aziende e come questo possa contribuire a far realizzare i loro sogni professionali.
Noi aziende, d’altro canto, dobbiamo ripensare a come abbiamo gestito la formazione negli anni. L’apprendimento non per forza deve essere guidato dalla formazione standard: è dimostrato che solo il 10% dell’apprendimento umano arriva dalla formazione tradizionale, mentre il 70% avviene grazie a esperienze on the job. Sono questi gli elementi più importanti che vanno evidenziati, tanto che nel performance management di Vitec valutiamo le competenze delle persone guidando il loro sviluppo in una logica di full accountability delle persone. Tutto deve partire anche dall’individuo e dalla sua voglia di sfidarsi per fare sempre meglio.
Ci stiamo infine adoperando già oggi per il rientro dei talenti in Italia. Personalmente ho lavorato sette anni fuori dall’Italia, si tratta sicuramente di un valore aggiunto, che però non deve essere visto come una fuga obbligata, bensì come una scelta e un’opportunità. È necessario valorizzare quanto di diverso c’è nel nostro paese. Come me ci sono il nostro Divisional CEO, Marco Pezzana ed altri manager che sono stati all’estero e sono tornati in Italia convinti di poter proseguire in Vitec un percorso di carriera internazionale. Io ho sposato i valori di questa azienda ed è bello poter gestire dall’Italia il business globale.
Quali pensi siano le caratteristiche che maggiormente caratterizzeranno il manager del futuro?
Innanzitutto, ci sono alcune caratteristiche a mio avviso fondamentali, come resilienza, agilità e mentalità aperta. Vi è poi la flessibilità, essere pronti ad un mondo più dinamico, dove la pandemia è stata la dimostrazione che essere flessibili è fondamentale per non fallire.
Aggiungo poi la necessità di una maggiore valorizzazione della diversità: sempre di più dobbiamo coglierla a 360 gradi. E’ qualcosa su cui abbiamo ancora strada da fare. L’evoluzione culturale è ciò che ad oggi serve di più: abbiamo fatto molta strada sulla tematica del gender balance, ma ancora c’è da lavorare. Un esempio su tutti: nel nostro headquarter di Bassano del Grappa, il 10% dei nostri dipendenti sono stranieri. Questo è un grande fattore culturale per noi, ed il 10% è un punto di partenza di un percorso che è iniziato da poco e su cui stiamo costruendo una futura strada di crescita. Il Made in Italy, e le competenze che genera, potrebbero essere ancor più valorizzate. Lavorare sulla diversity significa anche non rischiare di perdere opportunità di business e creare un luogo di lavoro inclusivo per attrarre talenti da portare in Italia.
Come il digitale può fare la differenza nel post-pandemia per la vostra azienda?
Penso che ciò che la pandemia ha portato, nel mondo lavorativo, sia solo un’accelerazione di un processo di cambiamento che in realtà si era già innescato. In Vitec avevamo già in essere lo sviluppo di competenze analitiche e digitali, perché sempre di più la tecnologia è parte integrante del nostro lavoro e lo sta cambiando.
Se guardiamo alla formazione ci sono sempre più tecnologie disponibili che cercano di agevolare l’autoapprendimento, nell’ottica di responsabilizzazione dei dipendenti. E la tecnologia è al servizio anche delle policy aziendali che cambiano; noi abbiamo cercato di immaginarci una situazione futuristica: abbiamo adottato nel periodo della pandemia due robot che girano in ufficio e fungono da interfacce video per permettere ai colleghi di comunicare. Sono degli esperimenti, che però veicolano un forte messaggio culturale ai dipendenti, stimolano e supportano l’agile working ed aprono verso il futuro.
Com’è implementato il digitale nella vostra azienda?
Da noi la digitalizzazione opera su più fronti: esternamente abbiamo un approccio go to market, dove la tecnologia ci agevola nella vendita dei nostri prodotti (circa il 60% delle nostre vendite avviene oggi online). Internamente, da due anni abbiamo una funzione digitale specifica, che ci ha permesso di portare in casa competenze del settore quali creazione del content, gestione dei siti, UX, UI, tecnologie digitali per monitorare chi va online, chi compra, chi visita…
Il digitale va visto anche in ottica del futuro, guardando al contempo alla tradizione: siamo un’azienda premium, la più grande azienda mondiale nel mondo accessori, il nostro prodotto costa di più dei competitor per qualità, innovazione, design, ma il digitale può essere un limite e saper valorizzare il valore aggiunto in un mondo digitale è più difficile. E’, inoltre, sempre più importante portare anche nei punti vendita tradizionali la tecnologia.
Infine, abbiamo un tema di digitalizzazione dei nostri prodotti: sempre più diventeranno prodotti ad alto tasso di tecnologia. Con questa logica due anni fa abbiamo acquisito una società in Nuova Zelanda che oggi è diventato il nostro Global Innovation Hub di meccatronica che ci ha permesso di portare in casa nuove competenze R&D che oggi sono al servizio dell’organizzazione globale e che stanno aiutando a sviluppare prodotti digital in linea con le esigenze di un mondo di consumatori del futuro.
Attraverso questa evoluzione digitale la nostra azienda si è trasformata da azienda meccanico/industriale ad azienda focalizzata al consumatore finale con un’anima digitale che guida tutto il processo.