Come hai vissuto il lockdown in qualità di HR Director?

Sicuramente è stato per me un’esperienza estremamente impegnativa ma al contempo interessante e vissuta due volte, perché ho avuto l’occasione di cambiare lavoro: prima ondata gestita nella prima azienda, ora nel nuovo ruolo con nuove responsabilità.

Penso che si possa affermare che a livello lavorativo si è trattato di un vero e proprio momento di discontinuità rispetto al passato, che ha visto in primis la gestione dell’emergenza e la messa in sicurezza delle persone, che sono tornate ad essere il centro dell’organizzazione e un elemento importante da presidiare. La funzione HR ha assunto in questo caso un ruolo più da playmaker rispetto ad altre epoche.

Una volta messa in sicurezza l’organizzazione e aver dato continuità al business, abbiamo lavorato su tecnologie, formazione sulle tecnologie, supporto di tipo manageriale per lavorare meglio in modo diverso. 

Questa seconda fase si sta rivelando più di un approfondimento su come gestire e valorizzare questa situazione emergenziale, ma una vera e propria chirurgia organizzativa ed al contempo una rivoluzione culturale che sta durando mesi, forse anche più di un anno. 

Quali azioni sono state messe in campo? E quali pensate di lanciare nel prossimo futuro?

Il grande elemento è questa esperienza di lavoro da remoto – e non uso il termine smartworking, perché l’esperienza che stiamo facendo è innovativa e fantastica ma c’entra relativamente poco con lo smartworking. È lavoro da remoto, che ha il grande valore però di accelerare un cambio di mindset e che a sua volta consentirà la trasformazione da remote working a smartworking.

Esempio: se ho fatto formazione per efficientare la comunicazione in video-call, sicuramente ho già dotato le persone di un elemento che favorirà il lavoro a distanza in futuro.

La vera sfida, superata questa fase di emergenza, sarà lavorare molto sulla testa dell’organizzazione per il cambio di mindset, con l’obiettivo di slegare la modalità di lavoro dall’emergenza e trasformare i concetti di tempo in obiettivi e il controllo in fiducia. Questo è un obiettivo che ci siamo dati a livello di board. Successivamente lavoreremo anche sulla policy dello smartworking, arricchendola di elementi che la situazione emergenziale nasconde.

Come è cambiato il tuo ruolo con questa pandemia?

I due elementi che secondo me sono gli aspetti più evolutivi del ruolo, un po’ per la situazione dovuta al Covid-19, un po’ a causa di un trend che già si avvertiva e che questa situazione ha estremizzato, sono l’aver ritrovato maggiore peso come HR nelle decisioni aziendali e aver visto una maggiore strategicità della funzione, sul cui tavolo l’emergenza è subito arrivata.

HR oggi è maggiormente leader nel prendere decisioni, ha acquisito una maggiore capacità di risolvere problemi e di gestire le crisi: una serie di elementi che il Covid-19 ha evidenziato , ha posto l’HR Director nel ruolo di leader nell’organizzazione che prende decisioni sulle e per le persone. 

È chiaro che la gestione emergenziale ha fatto sì che fossero messe al centro la sicurezza, la salute ed il benessere delle persone: sotto un certo punto di vista quindi per noi HR è stato un assist per spiegare le vele in quella direzione.

Come si sta evolvendo il ruolo della funzione HR?

Il ruolo è oggi chiave e centrale nel processo decisionale, e speriamo che continui così, perché gestisce la risorsa più preziosa delle aziende: le persone. Prevedo inoltre una maggiore centralità e leadership, e un continuare in modo più forte che in passato a portare avanti iniziative people-centriche. 

Quali iniziative avete lanciato a supporto dei collaboratori?

Abbiamo avviato svariate iniziative tutte con il comune denominatore di mettere al centro la persona .

In Bolton, che aveva già in essere un programma di smartworking pre-Covid, per esempio avevamo messo in piedi un programma di formazione molto ricco con l’obiettivo di favorire la capacità delle persone di lavorare in modo diverso (es. come gestisco un meeting, come utilizzo l’email, le technicalities) mettendo anche a disposizione alla bisogna, in partnership con la medicina del lavoro,  anche la possibilità supporto psicologico in particolare per quelle popolazioni per cui era richiesta la presenza fisica al lavoro.

La situazione trovata in Caffitaly era quella di una grande attenzione all’adempimento normativo ma meno incentrata a vivere la discontinuità “Covid-19” come un’opportunità per un cambio culturale .Abbiamo dunque lavorato per trasformare una perfetta gestione dal punto di vista normativo (protocollo accurato, DPI a disposizione, remote working massivo per tutti i white collar) fino a tirare fuori il meglio: abbiamo fatto un grande sforzo in termini di comunicazione, dando alle persone una percezione più causale e che ha consentito di creare un ambiente lavorativo collaborativo e maggiormente disponibile.

Abbiamo inoltre in programma per il 2021 una formazione per la gestione del lavoro da remoto, concentrandoci di più sul valore della fiducia e del lavoro per obiettivi piuttosto che sul controllo.

Quali sono state le best practices che avete introdotto e che vi porterete anche nel New Normal?

Quello che in Caffitaly ho sperimentato di più è stata una comunicazione più chiara, serrata: una comunicazione che mensilmente coinvolge anche il CEO per descrivere l’andamento dell’epidemia dentro l’azienda. Questo ha creato partecipazione e organizzativamente parlando una serie di strategie per dare continuità alla produzione. 

È stata anche molto apprezzata dalle persone, che hanno visto in prima persona come un’azienda sia in grado di parlare in modo chiaro e trasparente. 

Quali saranno le competenze dei manager per il futuro?

Sicuramente dovranno possedere spirito imprenditoriale: immagino manager che nei loro ruoli siano capaci di guidare dalla A alla Z la funzione alla quale appartengono, assumendosi rischi, implementando strategie, prendendo decisioni, gestendo emergenze, risolvendo problemi. Il Covid-19 ha reso evidente chi è in grado di governare un treno che ti travolge e chi invece è naufragato. Questa esperienza ci porta a dire che abbiamo bisogno di manager con un senso di imprenditorialità importante, perché mi aspetto che in futuro le organizzazioni saranno meno presenti, perché si lavorerà in modo più flessibile. Abbiamo dunque bisogno di persone autonome, imprenditori nel loro ruolo di manager, anche perché le discontinuità non termineranno e si lavorerà in modo meno standard rispetto al passato.

Altro elemento che ritengo importante è la capacità di mettere le persone al centro, valorizzando inclusività, diversità (gender, cultura, età) e capacità di far convivere culture e generazioni diverse: non è necessariamente legato alla situazione contingente, ma è un trend che è già partito e saranno temi che sempre più faranno parte del quotidiano di qualunque azienda e di qualunque manager. In più si tratta di temi particolarmente sensibili per le nuove generazioni.

Ultimo elemento: la flessibilità in generale e la capacità di organizzare il lavoro dei team, grazie alla capacità di adattarsi al contesto, di non essere rigidi.

Come il digital influenzerà il business?

La digital transformation che stiamo vivendo da qualche anno è un po’ una maratona che si allunga sempre, perché viviamo in un mondo in estrema evoluzione, anche dal punto di vista tecnologico. È un tema incontrovertibile: la digitalizzazione del mondo e delle aziende è già parte del presente e sempre più le aziende dovranno dotarsi di sistemi e soluzioni e di qualcuno che è in grado di disegnarli e poi governarli.

Il digitale continuerà dunque a essere un trend dominante. Sono convinto però che per la funzione HR ci sarà un grande compito di bilanciamento, da una parte favorendo la costante evoluzione digitale (cultura aziendale, formazione, nuovi ruoli ecc) dall’altra  garantendo all’interno dell’organizzazione l’antidoto all’estremizzazione della digitalizzazione; oggi c’è un bisogno di umanità e conseguentemente, a livello sociale, si riscoprono passioni e comportamenti che erano sopiti a causa del digitale che portano ad esperienze più fisiche e/o a contatto con la natura tipiche di altre epoche .

L’HR sarà l’elemento che dovrà in qualche modo tener presente che le persone hanno bisogni primari, e sarà garante dell’equilibrio tra tecnologia spinta, che mi permetterà di andare su Marte, e i bisogni del quotidiano delle persone, che l’azienda valorizzerà per far sì che i dipendenti siano felici nell’habitat aziendale.

Come pensi che sarà il mondo del lavoro nel futuro?

Mi aspetto un mondo del lavoro più flessibile dal punto di vista organizzativo: le persone lavoreranno in un sistema misto ed estremamente flessibile, alternando attività a distanza con lavoro in presenza al fine di conseguire un soddisfacente work-life balance e dove l’azienda assumerà in parte il ruolo dell’ “agorà”, dove non si andrà solo per lavorare ma per ritrovarsi e fare esperienza di socialità e dove si potrà beneficiare di servizi messi a disposizione dall’azienda.

Il secondo aspetto è comunque la digitalizzazione, che corre in avanti e che sfrutterà le tecnologie, richiedendo una competenza digitale sempre maggiore in termini di sofisticazione digitale.

Dal punto di vista più culturale le aziende sono rappresentazioni della società e secondo me le tematiche di attenzione alle persone e anche alle comunità saranno estremamente centrali nella vita lavorativa del futuro. Grande attenzione, dunque all’inclusività, alla diversità e alla sostenibilità.

Sarebbe bello anche capire quali saranno gli ambiti funzionali e i settori più sollecitati nel futuro e quelli che andranno a sparire: tutto il transazionale, l’attività routinaria andranno a ridursi, mentre le attività a valore aggiunto più manageriali e verticali continueranno nelle loro logiche. I temi della diversità e della centralità delle persone permetteranno di uscire dai binari, perché sarà maggiormente compreso l’agire un ruolo in modo diverso e innovativo rispetto alla declaratoria del ruolo, perché più inclusivo verso stili diversi.