Dimidium facti, qui coepit, habet” diceva Aristotele e l’espressione è oggi ancora in uso trasformata in detti popolari del tipo “Cosa ben cominciata è mezza fatta”, “Il buon giorno si vede dal mattino” e “Buon principio fa buona fine
Nella pratica del coaching in ELAN il primo incontro con il coachee getta infatti le basi della relazione che si protrarrà per settimane o mesi. In questa occasione noi coach stringiamo con i coachee un vero e proprio patto, che chiamiamo Patto di Coaching.
Perché è importante stringere un patto? E cosa prevede?
Il coaching si fonda sul rapporto tra coach e coachee, improntato sul “trust”, su responsabilità ben definite e necessità di un’accurata analisi del contesto in cui nasce la richiesta dell’intervento di un coach e dei risultati desiderati, della durata e degli impegni reciproci.
Il patto poi prevede una scelta consapevole sottostante, ovvero il coachee testa il possibile feeling con noi coach. E viceversa. Quindi sceglie di lavorare con noi.
Per quanto mi riguarda ho trovato sempre importante raccontare il mio approdo al coaching, come l’ho scoperto durante un viaggio professionale fatto di ricerca attiva e di circostanze colte al volo, e perché ho deciso di certificarmi ICF. Fatto questo, mi riesce più agevole raccontare al mio coachee che non sarò una consulente o una formatrice (anche se nella vita sono anche questo).
Questo primo incontro serve, quindi, a spiegare al coachee cos’è e cosa non è il coaching e la metodologia che utilizzerò. Serve anche a chiarire l’importanza dell’impegno e della responsabilità a lui richieste nel perseguire il suo l’obiettivo. Serve poi per chiarire che in qualità di suo coach non darò consigli, che non fornirò soluzioni, ma che lavorerò attraverso la metodologia sulle potenzialità, sull’autodeterminazione, sulla consapevolezza in un percorso nel quale solo lui sarà il solo protagonista.
E se il feeling di cui parliamo all’inizio non c’è?
E’ sempre un’eventualità! Magari non frequente, ma dobbiamo contemplarla e saperla gestire. E’ per questo che in ELAN forniamo all’azienda committente almeno 2 o 3 cv di nostri coach ICF, affinché il committente possa renderli disponibili al coachee e favorire la buona riuscita del primo contatto. Significa che il coachee sceglie ancor prima di incontrarci se ci sono i presupposti minimi per lavorare con noi o meno.
Sottolineo questa dimensione della scelta perché per affrontare un percorso di coaching serve apertura e disponibilità alla messa in discussione. Non può essere un progetto imposto dall’azienda al proprio dipendente, quanto piuttosto consigliato e fortemente caldeggiato. Non può neanche essere imposto il coach con cui lavorare.
Proprio per l’importanza di tutti questi elementi, da tempo in ELAN utilizziamo una modalità di contatto “anticipatorio” a distanza in cui, ad esempio, il coach si presenta, rende disponibile al coachee il codice etico ICF e condivide le “regole del gioco” riguardanti il planning degli appuntamenti ed eventuali disdette.
Per questo la sessione di Patto di Coaching è imprescindibile, in quanto porta alla scelta consapevole di voler iniziare un cammino professionale intenso e pervasivo. Al contempo, alla sessione vengono invitati (nella parte finale dell’incontro e per un tempo concordato) lo sponsor aziendale – generalmente l’HR – e il responsabile diretto del coachee: questo al fine di definire gli obiettivi del percorso, i KPI di riferimento, i tempi di monitoraggio e di chiusura.
Il passaggio è fondamentale perché chiarisce, in termini di declaratoria e di comportamenti osservabili, quali saranno gli ambiti di lavoro del coachee e quali i comportamenti attesi che, se agiti e osservati, potranno rappresentare (come dei KPI) gli indicatori della buona riuscita dell’investimento fatto.
Che ruolo hanno confidenzialità e privacy all’interno di un percorso di coaching in azienda?
Un aspetto cruciale che in ELAN abbiamo presente fin dai primi incontri con l’azienda committente (ovvero il cliente pagante) riguarda i temi di privacy e di riservatezza che il coach dovrà garantire nei riguardi del coachee (ovvero il destinatario dell’intervento) e dei contenuti delle singole sessioni, in coerenza a quanto indicato da Codice Etico ICF.
L’art. 25 del Codice recita: “Io come coach […] stabilisco un chiaro accordo su come le informazioni sul processo di coaching verranno scambiate fra coach, cliente e committente”. Nel Patto di Coaching è, quindi, necessario che il coach ICF ribadisca che è tenuto al rispetto del Codice (di cui è buona prassi fornire sempre una copia cartacea e/o il riferimento web al coachee e allo sponsor) e chiarire, invece, quali sono gli aspetti e gli elementi di cui io – come coach – darò conto alla committenza perché possa avere evidenza della bontà dell’investimento sostenuto nell’acquistare un servizio di coaching.
Diventa, altresì, fondamentale definire in maniera triangolata (coach/coachee/sponsor) i comportamenti target che, se agiti e osservati, potranno rappresentare i KPI di riferimento.
In questo articolo ho voluto raccontare e svelare che cosa contiene il Patto di Coaching con l’intenzione di chiarire perché sia tanto importante partire con il piede giusto nel corso della prima sessione e come ci siano aspetti non trascurabili che qualificano il comportamento deontologico ed efficace di un coach professionista come esperto della metodologia e garante del processo.
Chi ben comincia, dunque, è davvero a metà dell’opera!