Sei entrato in Franklin Electric proprio durante il lockdown, com’è stato?
È stata un’esperienza strana. Il primo giorno di lavoro non sono andato in azienda: ho ricevuto il pc a casa e ho iniziato a lavorare da remoto. È stato un ingresso in azienda atipico: ho conosciuto infatti i colleghi via Teams. Ho un team di quattro collaboratori, di cui tre dislocati in paesi differenti, che ad oggi non ho ancora incontrato di persona. Le prime settimane sono state scandite dalle molte telefonate e dalle innumerevoli riunioni online. Mi aspettavo di conoscere di persona i colleghi, di visitare i siti, di capire, grazie alle trasferte, le dinamiche relazionali e ambientali dei diversi stabilimenti, ma purtroppo nulla di tutto ciò è stato possibile. Cerco però di bypassare questa situazione sfruttando il più possibile le video call, coinvolgendo le persone, cosa sicuramente non facile da remoto.
Quali azioni avete intrapreso per gestire la distanza fisica tra le persone?
È stata nominata in U.S. una persona incaricata di aggiornarci, con cadenza settimanale, sulla situazione dei diversi stabilimenti. Avendo sedi in diverse parti nel mondo, abbiamo seguito l’evolversi delle disposizioni locali nei vari paesi, che possono differire anche in maniera sostanziale ma ci ha permesso di capire come altri hanno affrontato la situazione. Abbiamo poi avuto dei problemi in termini di consegna dei componenti che hanno determinato ritardi produttivi, anche se, fortunatamente, in modo limitato. Di conseguenza, abbiamo compreso l’importanza della condivisione delle informazioni.
Ciò che abbiamo promosso come azienda è stato il remote working (cosi viene chiamato nel mondo), incentivando le persone a rimanere a casa a lavorare, riducendo la capienza negli uffici. Attualmente abbiamo intenzione di regolarizzarlo per mantenerlo anche in parte in futuro. Un’azione concreta che abbiamo intrapreso è stata, inoltre, ordinare pc portatili da utilizzare in smart working, senza badare davvero al costo ma privilegiando la flessibilità.
Quali competenze hai allenato in questo periodo? E quali riflessioni ti porti dietro?
Sicuramente ho vissuto un cambio di mindset: basti pensare che ora accettiamo che alcune posizioni in IT e Finance possano lavorare da remoto. L’azienda si è aperta al lavoro da casa, riponendo giocoforza quindi una grande fiducia nei confronti dei collaboratori. Tuttavia, questa modalità di lavoro ha portato a uno sbilanciamento: lavorare presso la propria abitazione 5 giorni su 5 determina problemi di comunicazione e di relazioni lavorative, proprio perché il vero risultato si ottiene anche col gruppo e con i contatti personali. Ci sarà nel futuro un riequilibrio, ma sarà necessario implementare dei sistemi che presuppongano sempre di più fiducia tra i collaboratori, leadership diffusa e non di controllo, una sorta di servant leadership, portatrice cioè di un rovesciamento della piramide: il leader deve mettere le persone nelle condizioni di essere vincenti. “Cosa ti serve da me?”, è questa la domanda chiave per il leader che interroga le persone su cosa debba fare per rendere le condizioni di lavoro migliori, affinché i collaboratori possano esprimere al meglio le loro potenzialità. Ancora poche aziende oggi adottano questa filosofia, ma sono sicuro che aumenteranno perché diventerà inevitabile concedere maggiore fiducia alle persone.
Come pensi debba cambiare la funzione delle Human Resources?
La funzione HR deve sostenere questo cambio culturale adottando strumenti e approcci che vadano in questa direzione.
Per esempio noi in Azienda abbiamo un global performance management molto tradizionale, con una valutazione finale da parte del responsabile a fine anno. Vorrei riuscire a farlo evolvere in un continuo confronto sullo sviluppo delle persone e al dialogo capo-collaboratore. La valutazione della persona passerebbe così in secondo piano, favorendo invece una maggiore attenzione agli obiettivi assegnati e allo sviluppo del singolo che dovrebbe essere messo nelle migliori condizioni lavorative possibili. Questo sarebbe il tentativo di cambiare il modo che abbiamo di lavorare a livello globale, dove sempre più spesso il responsabile non è vicino al collaboratore.
Quali sono, per te, le nuove competenze che i Manager dovrebbero sviluppare?
Le competenze fondamentali stanno cambiando: quelle che risultano maggiormente efficaci sono, ad esempio, un maggior ascolto delle persone, il mettersi al servizio degli altri, ovvero chiedersi cosa si può fare per l’altro. Alcuni comportamenti però permangono: addestrare le persone in modo che siano adatte al loro ruolo, creare condivisioni e ispirazione assicurando che le persone siano impegnate nei confronti dell’organizzazione e desiderose di uno sforzo aggiuntivo, alzare l’asticella sfidando costantemente i dipendenti affinché incrementino il loro contributo.
Come potremo trasformare il mondo del lavoro affinché le persone diano il meglio?
Siamo lontani dal poterlo fare veramente, le ricerche dicono che l’engagement è basso. Quello che dobbiamo fare è ascoltare di più: cercare di capire, affrontare i problemi insieme e cercare una soluzione. Il capo non ha sempre le risposte, può rendersi necessario cercarle insieme. Il capo non deve essere il massimo esperto, ma deve essere una persona che dà un metodo grazie al quale si trovano le soluzioni. È un processo di maturazione, di condivisione, di sensibilità che deve aumentare, facendo in modo di lavorare con i manager per sviluppare le loro capacità di coach e mentor, con tante domande per aiutare le persone a riflettere.
Come sarà il New Normal secondo te?
Il New Normal avrà sicuramente tantissime video call, molto più lavoro da remoto, meno scambio fisico. Sicuramente questo periodo ha costretto a ripensare l’organizzazione del lavoro e per molti aspetti non si potrà più tornare indietro; in brevissimo tempo comunque sono stati fatte delle conquiste impensabili solo un anno fa. Tuttavia, vi è necessità di tornare anche in presenza. Ne segue che ci dovrà essere un nuovo bilanciamento tra le attività fatte in digitale e quelle in presenza.
Che ruolo ha in tutto questo il digitale?
Ha già giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo. Il punto è saperlo utilizzare al meglio: digitalizzare tutto il digitalizzabile. Avremo inoltre sempre più connettività nel nostro business: far lavorare i sistemi insieme, questo è un altro punto su cui dovremo svilupparci.
Quest’esperienza ha reso evidente come anche il processo di recruitment possa avvenire interamente online. Abbiamo portato a termine una selezione in Russia: mai avrei pensato di assumere una persona senza che nessuno della nostra Azienda potesse incontrarlo fisicamente. Oggi è possibile. Dopo averlo sperimentato più volte, devi credere al fatto che anche così puoi fare selezione.
Penso poi anche al training: abbiamo lanciato l’LMS (Learning Management System) con LinkedIn per scaricare corsi e seguirli da remoto.
L’evoluzione sarà quello di avere sempre più training virtuali con la possibilità di interagire, in modo più flessibile e con più opportunità, attraverso la tecnologia; certamente, e fortunatamente, la parte fisica non verrà completamente eliminata.