Così diversi, ma così simili ad alcuni pensieri che possono entrare nella mente di chi, in cuor suo, vorrebbe provare la sfida di diventare un Coach professionista:motivazioni, da una parte, forti e rassicuranti come i Gremlins diurni (i mogwai). Dall’altra, pensieri killer come i Gremlins della notte, pericolosi, brutali, sadici e astuti.

Perché si vuole diventare un Coach professionista?

Le motivazioni alla base della scelta di un mestiere sono sempre così personali che anche la risposta più completa non riuscirebbe ad esserlo fino in fondo. Qualunque sia la scintilla (l’Ignite) che può scoccare con questa professione, per diventare veri professionisti del settore è importante non solo avere chiaro quale sia il proprio “perché”, ma anche sgombrare la mente da alcuni Gremlins che albergano spesso tra i pensieri di molti aspiranti professionisti Coach.

I Gremlins. Sì, quelle tenere creature rassicuranti che si trasformano in esseri veloci, sfuggenti e infidi: mostri pericolosi e assassini non appena mini la loro comfort zone.

Io, il film Gremlins me lo ricordo bene: 1984, allora bambina, un equilibrio delicato tra commedia e horror, un cult. Ma loro, i Gremlins, nascono altrove da Hollywood. Erano spiritelli dispettosi, specializzati nel sabotare gli aeroplani della RAFdurante la Seconda Guerra Mondiale. Inconveniente? Problema? Guasto? “Have a fit of the Gremlins!” (più o meno: colpa dei Gremlins). Scaramanzia, certamente, ma in un mondo dalla scarsa accountability è rassicurante potersela prendere con qualcuno.

Ma, torniamo al coaching. Da queste parti, i Gremlins sono un modo pittoresco per dare un nome a ciò che – tecnicamente – chiameremmo un ‘sabotatore interno’. Il sabotatore interno è la nostra voce interiore, aspra e critica se siamo sotto stress, severa e perentoria, quando le cose non girano bene. Non ama il rischio, non le piace che osiamo, che ci sfidiamo o, semplicemente, che sbagliamo, anche se questo significa imparare. Non le piace che impariamo.

I Gremlins dell’anima parlano il linguaggio degli imperativi. E quando usano i verbi cassandrici della profezia, si fanno minacciosi, pessimisti e sempre e comunque categorici.

Ed ecco che anche gli aspiranti Coach professionisti – come tutte le persone del mondo – devono saper ascoltare i propri Gremlins e devono saper dialogare con loro, per contenerne la carica nociva e deviante.

Cominciamo a prendere confidenza con i 5 Gremlins più diffusi:

Gremlins n. 1: “Tu non devi sbagliare”. Imperativo, non esortativo. Categorico, non rassicurante. Se questa è la voce interiore che ascolti mentre stai realizzando un percorso di coaching con il tuo Coachee, fermati ed approfondisci. Torna ai principi del coaching, leggi e documentati, fai mentoring con un Coach esperto. Torna alla definizione di coaching per ICF: “Il coaching stimola le persone ad ottenere quello che vogliono senza che qualcuno agisca al loro posto o insegni loro cosa fare”. Oppure scegli di fare il consulente o, meglio ancora, il trainer, dove il rapporto con il tuo cliente è fondato su “posizioni” di conoscenza (il Power) diverse rispetto al coaching.

Gremlins n. 2: “Le tue domande devono stimolare sempre una risposta nel Coachee. Altrimenti non sono buone domande”. Trappola frequente. Gli esperti della metodologia sanno che nel coaching non ci sono domande buone o cattive, solo domande potenti, cioè in grado di far riflettere, di creare nuove prospettive e di ampliare il punto di vista.

Per un Coachee non avere una risposta non significa non aver assimilato la domanda, non averla interiorizzata, non aver iniziato a pensarci su. Significa ‘solo’ non avere una risposta, ora. Altre domande arriveranno, alcune avranno risposta, altre attiveranno nuovi pensieri. Come Coach continua nella tua pratica e, attraverso questa, prosegui nel costruire relazioni di partnership con i tuoi clienti. Le domande potenti arriveranno.

Se senti il bisogno di ricevere sempre un “feedback positivo” dal tuo Coachee durante una sessione, questo può essere il lavoro più frustrante da scegliere. E allora… torna al punto 1!

Rivaluta il lavoro di consulente e quello di trainer. Ma anche lì, convinciti che non tutte le domande hanno una risposta.

Gremlins n. 3:  “Non potrai mai essere veramente neutrale. E’ impossibile!” E invece sì, come Coach imparerai ad essere neutrale, perché la neutralità del Coach è una caratteristica imprescindibile della professione. Come Coach assorbi quello che il cliente sta dicendo, accettandolo a prescindere dal valore che gli attribuisci tu, dal significato, dal senso, senza giudicare o analizzare. La neutralità non prevede “sacrifici” di nessun genere per un Coach professionista, non è nulla di veramente eccezionale. Si tratta di vedere le cose esattamente così come ci vengono mostrate e di sentire una genuina curiosità verso l’altro e il suo Field.

La straordinarietà sta nell’altro, nella sua capacità di imparare, vedere cose che gli piacciono e che può rinforzare, oppure che non gli piacciono e che, quindi, può cambiare. E questo è solo l’inizio del coaching: in mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è la scoperta di quanto il Coachee sia straordinario.

Se questo non ti sembra convincente e praticabile, quello del trainer è un lavoro meraviglioso.

Gremlins n. 4: “Il tuo cliente deve essere felice e soddisfatto. Solo così sarai un Coach veramente bravo”. Questo è un Gremlin molto pericoloso perché insinua il dubbio su un punto centrale: il Coach è uno strumento, un catalizzatore; la reazione avviene nell’altro. Per un Coach professionista non c’è autocelebrazione se le cose vanno bene, non c’è autocommiserazione se il cliente non è felice (“Se non è soddisfatto, allora non valgo niente come Coach”).

Nel coaching il focus non sei tu, è il tuo cliente. Non sei tu a garantire la sua felicità, ma sei il garante del suo spazio di trasformazione, dove la sua felicità può diventare consapevole.

Il principio del Trust the Client stimola questo tipo di rapporto e al tempo stesso chiarisce che la responsabilità̀ del Coach è gestire il processo di coaching in tutte le sue fasi, offrendo tutti gli strumenti metodologici. Non hai ancora ripreso in considerazione l’idea di diventare un trainer? Allora conosciamo il 5° Gremlin.

Gremlins n. 5: “Il Coach non deve parlare di emozioni. Quelle sono ‘terreno minato’. E non riguardano l’Azienda”. Prima considerazione metodologica, per la quale chiamo a testimone Daniel Goleman: “[…] La vita emozionale è un campo che esattamente come la matematica o la lettura può essere trattato con maggiore o minore capacità e richiede il suo specifico set di competenze”. Muoversi tra le emozioni è il terreno del coaching; perché le emozioni rappresentano “risorse”che, al pari delle risorse intellettuali – sociali – materiali, vengono utilizzate dal cliente per creare. Sono la materia prima della creazione.

La seconda considerazione metodologica si sviluppa partendo da alcune domande aperte: quanto contano le emozioni in un’organizzazione? Come devono riguardare l’Azienda?

È nuovamente Goleman a parlare di quattro grandi categorie di cui un’organizzazione dovrebbe tener conto: Autoconsapevolezza emotiva; Autogestione emotiva; Consapevolezza sociale; Gestione delle relazioni.

E i Coach in che modo possono aiutare? Principalmente aiutando le persone a sviluppare l’Intelligenza Emotiva in un contesto organizzativo. Le emozioni del cliente sono sempre presenti e disponibili in un’interazione di coaching e il Coach preparato aiuterà il cliente a cogliere i propri sentimenti e ad ascoltarli; farà reflecting e rimanderà le emozioni al cliente. Se il ciclo classico ask/listen/reflect comprende le emozioni, esso accresce la consapevolezza del cliente con riferimento ai suoi sentimenti. E lo aiuta a vivere meglio la sua esperienza aziendale e sociale.

Questi sono i Gremlins del Coach che comincia a fare pratica, e spesso somigliano anche ai Gremlins di chi questo mestiere già lo svolge come professionista.