Come hai vissuto il lockdown come Direttore Generale (con delega alla gestione dell’area HR)?

È stato un momento complesso e difficile. Siamo una realtà giovane, con tante donne e quindi con tanta flessibilità da gestire, anche se abbiamo cominciato a parlare di smartworking solo l’anno scorso ipotizzando il lavoro da remoto per 3 giorni al mese. Possiamo, dunque, dire che non eravamo così preparati a gestire uno smartworking forzato al 100%.

Siamo partiti dal contenuto, perché tecnologicamente eravamo pronti: i temi che subito abbiamo affrontato sono stati la fiducia, il controllo, la gestione del feedback, a cui abbiamo aggiunto una comunicazione continuativa e trasparente. E la risposta dall’organizzazione è stata positiva.

Cosa avete organizzato per le persone e cosa ti hanno chiesto?

Il lockdown ha avuto tante sfaccettature, anche dal punto di vista psicologico. Affinché le persone non perdessero il senso di comunità e di vicinanza, abbiamo istituito delle plenarie di aggiornamento sull’operatività e sul business ogni due settimane (normalmente avvenivano ogni mese). Abbiamo cercato di mettere in evidenza quello che è il senso del nostro lavoro quotidiano: volevamo dimostrare alle persone che ci stavamo muovendo, che non eravamo fermi. E tutti lo hanno compreso e si sono dimostrati presenti. Abbiamo raccontato durante questi appuntamenti non solo dell’andamento economico e finanziario dell’azienda, ma abbiamo presentato i progetti in corso, raccontato i successi con i nostri clienti, ci siamo confrontati rispetto alla gestione dei momenti critici. 

Abbiamo dunque reso partecipativo il momento di gestione dell’azienda e abbiamo tradotto in concreto il nostro senso di essere e sentirsi parte di una community. E ne abbiamo ottenuto un alto livello di coinvolgimento e di produttività, anche se abbiamo dovuto fare alcune scelta difficili, come l’utilizzo seppur parziale e limitato degli ammortizzatori sociali per l’intera organizzazione. Decisione che abbiamo dapprima studiato a tavolino in termini di impatto economico sul singolo dipendente (con una compensazione parziale del netto mensile per mitigare l’impatto e renderlo equo ai vari livelli) e poi condiviso e comunicato in maniera trasparente, con le motivazioni vere che ci spingevano a questa scelta.

Infine, abbiamo una caratteristica che in fase di lockdown ha contribuito fortemente al consolidamento della nostra community: siamo una organizzazione per molti versi “piatta”. C’è un Direttore Generale, c’è un comitato esecutivo che lavora con me, ma poi qualunque persona può bussare e avere con me e con gli altri uno scambio e un confronto, per avere delle conferme o per proporre qualcosa di nuovo. È piaciuto molto il mio “SWAP a moment“, 30 minuti senza finalità specifiche, solo per fare due chiacchiere, parlare del lockdown, del futuro e delle aspettative, di ciò che è stato fatto, oppure per porre domande e ascoltare. Momenti semplici contribuiscono al consolidamento dell’organizzazione,

Tutto questo lavoro di condivisione e comunicazione dove vi ha portato?

Intanto ha reso la nostra community ancora più connessa: abbiamo oggi tutti lo stesso obiettivo condiviso, e per raggiungerlo siamo consapevoli che è necessario anche fare dei sacrifici. 

Più concretamente, ci ha portato allo studio e alla diffusione di un protocollo aziendale per il rientro in ufficio in sicurezza e su turni, a seconda dei team di lavoro. I nostri collaboratori non vedevano e non vedono l’ora di rientrare, perché comprendono il grande valore della relazione, del rivedersi, del contatto fisico, che ha un impatto importante dal punto di vista professionale.

Inoltre, abbiamo consolidato una practice di comunicazione anche verso l’esterno, il nostro Ayming LAB: ci occupiamo di innovazione e fiscalità per cui il momento di stallo è stato l’occasione per parlare di finanza agevolata e di opportunità collegate ai temi fiscali, con una comunicazione diffusa alle PMI. Non era il momento di vendere, ma piuttosto di informare e fare cultura, dare consapevolezza degli strumenti in modo chiaro, preciso, puntuale.

Che cosa prospetti per il futuro?

Lo smartworking continuerà sicuramente fino a fine anno. Stiamo comunque cambiando i nostri contratti individuali, portando a massimo 4 giorni a settimana il lavoro in smart. Nel nostro New Normal siamo convinti che ci servirà, eccome. Appena potremo, inoltre, lavoreremo anche sugli spazi, affinché siano adatti a creare più coesione e agevolino la creatività dei team.

Inoltre, continua il percorso di Ayming per accreditarsi come “società benefit” e ottenere la certificazione B Corporation: nel nostro statuto è esplicitata la nostra prima missione, che è quella di fornire servizi di consulenza, a cui si aggiunge però una missione più nobile, che è quella di generare un impatto positivo su tutto quello che è il nostro ecosistema degli stakeholder. Per noi significa entrare a far parte di un network di aziende italiane che già operano in questo modo ed essere così parte di un movimento che fa della sostenibilità un valore, una scelta obbligata e non più un lusso. 

L’attenzione che ho per i dipendenti è molto legata a questa voglia di generare un impatto positivo per e con le persone, attraverso tutta la nostra filiera (come la scelta fornitori con sistema valoriale sostenibile, con i nostri clienti). Diventa strategico e un valore aggiunto avere dipendenti felici, collaboratori felici, anche fornitori felici, e il mio desiderio è di arrivare ad avere persone di talento che vengono a lavorare da noi perché scoprono che c’è un allineamento valoriale molto forte, tema a cui la generazione dei Millennial pensa tanto.

Quali competenze pensi di aver affinato e sviluppato in questo ultimo anno? E i tuoi manager?

Ho cambiato modo di parlare, per essere più vicina alle persone. Nel mio linguaggio ci sono oggi più termini legati al mondo soft, come empatia, relazione, comprensione, trasparenza. Sono sempre stati termini inclusi nel mio bagaglio lessicale, ma mi sono resa conto che oggi nei meeting parto sempre parlando delle persone. Il mio tono di voce è cambiato: mi sono accorta che deve arrivare il mio messaggio in modo diverso. Ho cominciato anche a scrivere in modo diverso, preoccupandomi del fatto che anche il cliente, la sua famiglia e la sua organizzazione stiano bene.

Certo, ciò non esclude le hard skills, che ci vogliono eccome, soprattutto sulle professionalità più verticali e nei manager: anche su questo però mi sono resa conto di avere bisogno di un combinazione di fattori. Ho preso maggiore consapevolezza del mix che ho oggi in azienda, da persone con il PHD, a economisti e ingegneri e avvocati, ai nerd, e mi rendo conto oggi più che mai come questo mi garantisca la qualità della consulenza. 

Infine, credo che non debba mancare quello che Silvia Zanella descrive molto bene nel suo ultimo libro, “Il futuro del lavoro è femmina”, e cioè un bagaglio di competenze trasversali su cui si baserà il lavoro del futuro. Quando parliamo di lavoro e futuro bisogna tenere conto che andiamo sempre più verso un’automazione e digitalizzazione molto spinte e che da una parte perderemo una certa tipologia di mestieri, ma tutto quello che il computer non sa fare e tradurre lo completeremo noi umani. Su questi elementi bisogna puntare. Nasceranno nuovi mestieri per i nostri figli e ragazzi, non c’è dubbio.

Come cambierà il ruolo dell’HR all’interno delle organizzazioni?

L’azienda è fatta di persone, si lavora al meglio se si investe sulle competenze soft, perché, alla fine, le competenze hard si possono anche comprare, acquisire all’esterno o facendo dei corsi.

Dal nostro punto di vista, sta già cambiando il modo con cui facciamo la ricerca dei profili, e valuteremo la persona sempre più a 360 gradi, prendendo in considerazione anche la sua vita privata, perché siamo convinti che questo dica molto di quanto il collaboratore può dare in azienda e di come si pone. Cambia il modo di fare ricerca di competenze, con una vista più ampia, e cercando dei profili che siano interessati a lavorare davvero con noi, che sposino gli elementi valoriali della nostra organizzazione: vogliamo cogliere di questi la loro attitudine e l’allineamento rispetto alla nostra realtà aziendale, che comunque rimane una realtà di forte relazione.

Quale ruolo avrà il digitale nel futuro della tua azienda?

Nella mia organizzazione “Digital” significa dare gli strumenti necessari per lavorare da qualsiasi parte in termini flessibili e con sempre maggiore efficacia ed efficienza.. Ad un livello più alto vedo le nostre aziende che supportiamo nella scelta di incentivi e strumenti di finanza agevolata per guidare le proprie scelte in innovazione, e vedo quanto ci sia di digitale nel concetto di Factory 4.0. E, aggiungo, una delle prime missioni descritte nel documento del Recovery Fund_Linee guida, è proprio la digitalizzazione, l’investimento nella ricerca e sviluppo  ma anche si parla di sviluppo delle competenze, di valorizzazione del ponte scuola-lavoro, della formazione e investimento sulle materie STEM. Tutto questo avrà mi auguro – se indirizzati correttamente le progettualità e i relativi fondi – un impatto sulle persone e sulle organizzazioni, e cambierà il modo di fare il nostro, di lavoro.