Come hai vissuto la pandemia in qualità di HR Director?

Devo dire che per via della nostra composizione geografica, che prevede una filiale in Cina nel distretto della calzatura sportiva, abbiamo cominciato a vivere la pandemia fin da subito a cavallo del Capodanno Cinese. Nel momento in cui è partita la cosiddetta “giostra cinese” abbiamo alzato le antenne, bloccando immediatamente le trasferte. Ovviamente si è di conseguenza generata una forte preoccupazione per i nostri colleghi cinesi.

A seguire è arrivato il lockdown italiano: da quel momento abbiamo iniziato ad adottare per la prima volta modalità di lavoro agili. Abbiamo scritto e distribuito dei vademecum per i dipendenti su come gestire l’home working, che in sostanza fornivano consigli su come gestire il “daily”, ivi incluso il diritto alla disconnessione, e vademecum per i responsabili (per gestire i tempi delle persone,  i task, e i confronti quotidiani per mantenere la relazione) ed infine, indicazioni tecnico-pratiche sulla parte IT. La struttura è stata sottoposta a forte stress, tuttavia abbiamo registrato una decisiva risposta in termini di adattamento.

Quali comportamenti avete messo in atto per fronteggiare il lockdown?

Nel momento in cui è stato decretato il lockdown abbiamo adottato un approccio conservativo, anche perché non pensavamo che sarebbe stato così lungo. Abbiamo atteso un attimo prima di ricorrere agli ammortizzatori sociali per impattare il meno possibile sulla situazione reddituale dei dipendenti. La prima cautela che abbiamo posto in essere nel periodo pre-lockdown, dopo il caso di Codogno, è stata quella di agevolare le mamme e i papà con i bambini a casa, perché era indispensabile poter consentire loro di gestire i figli e allo stesso tempo continuare a lavorare. Pertanto, abbiamo provveduto ad inviare a casa i portatili.

Inoltre, siccome Diadora è situata nelle campagne del trevigiano, in una location che si raggiunge solo in auto, quando si è iniziato a parlare di autocertificazione dovevamo capire quale fosse la modalità giusta per far raggiungere a tutti la sede aziendale mettendo in sicurezza anche chi era in zone a rischio. In aggiunta, abbiamo attuato azioni paracadute, inclusa anche un’assicurazione integrativa qualora i dipendenti o i familiari fossero stati colpiti da Covid-19.

Quali azioni sono state messe in atto per supportare il benessere dei vostri dipendenti?

Il nostro sistema di wellbeing prevede, ad esempio, la messa a disposizione di una palestra. Il lockdown ha imposto la modalità dell’home working che ha impattato sulla condizione fisica delle persone. La nostra iniziativa ha previsto la conversione della palestra fisica in palestra virtuale, dove i coach hanno impostato delle lezioni in formato video, un modo per venire incontro al mantenimento della forma fisica e contemporaneamente del benessere psicologico.

Passato il primo lockdown ci siamo resi conto che forse era il caso di anticipare i bisogni delle persone. Abbiamo così lanciato una Engagement Survey a livello worldwide. Lo scopo era quello di analizzare il vissuto dei dipendenti in tre momenti distinti: il lockdown, appunto, il momento della ripresa e il futuro. La survey ci ha fornito una fotografia esaustiva e precisa su come abbiamo vissuto questi momenti in Europa, US e Cina e nel mondo retail. L’elemento interessante che è emerso è come la diversity sia stata fondamentale: basti vedere come Cina e US hanno vissuto e stanno vivendo la situazione in modo estremamente positivo rispetto al Vecchio Continente. Ciò che ne abbiamo tratto è un atteggiamento positivo, seppur cauto, nonostante la grande preoccupazione per le conseguenze economiche e sociali.

Quali competenze pensi di avere allenato in questo periodo? E il tuo team HR?

La situazione ha portato a galla il nostro istinto di sopravvivenza, il quale a sua volta ci ha portato ad adottare delle competenze che non sapevamo neppure di avere. Mi viene in mente Darwin: sopravvive chi si sa adattare, ed è un concetto oggi di grande attualità.

Le competenze emerse sono state soprattutto la capacità di adattarsi velocemente a situazioni nuove e l’apertura al cambiamento, che deriva da una grande curiosità. Le persone che entreranno in futuro in azienda dovranno essere mosse da una grande curiosità, motore per fare bene e andare oltre. Bisogna essere disponibili ad abbracciare qualcosa di diverso. Un altro elemento è l’atteggiamento ottimista e positivo, è necessario essere driver della felicità e trasmettere positività al proprio team. Il mio primo capo mi diceva spesso: “Bisogna essere in grado di auto motivarsi per motivare gli altri, perché come HR non vincerai mai il campionato di simpatia”.

Altre capacità importanti sono poi quelle legate all’ascolto, l’empatia, la stabilità emotiva (essere in grado di ascoltare realmente per capire quali sono bisogni e necessità delle persone). Non sempre dietro la richiesta di un collaboratore c’è una necessità di business, ma ci può essere un malessere emotivo. Ascoltare, dunque, non per dare risposte, ma per capire.

Le persone hanno chiesto di allenare queste competenze e noi ci siamo adoperati affinché da gennaio 2021 ci fosse un nuovo programma di formazione su una piattaforma e-learning a livello worldwide, dove ognuno liberamente, come responsabile del proprio sviluppo, potesse allenare una serie di competenze soft emerse dalla survey.

Come pensi sia cambiata la funzione delle Human Resources?

Il mio ruolo, in particolare, è cambiato poco: sono sempre stato un fan del concetto “HR = Business Partner”, un vero compagno di squadra dei line manager, una persona competente in fatto di business, che solo così può dimostrarsi efficace nella gestione delle risorse umane. Altrimenti siamo poco calati nella realtà. Dobbiamo essere efficaci business partner per poter essere la spalla per la linea; non vedo in questo senso una grande differenza rispetto a  prima.

Forse l’unico elemento diverso rispetto al passato è stato l’ingresso nella vita privata dei dipendenti: la condizione patologica che tocca le persone che vivono l’azienda può avere conseguenze importanti. Molti non erano disposti a condividere situazioni familiari difficili dovute al Covid-19 per imbarazzo e paura: abbiamo, quindi, cercato di stimolare le persone ad essere collaborative, anche facendo test sierologici / tamponi ogni 15 giorni e provando a circoscrivere la situazione. Ci siamo quindi spostati da un’attività più di supporto al business a un’attività di light counseling, dove gestiamo le problematiche più private delle persone, del singolo e del manager. Abbiamo predisposto infine anche un Q&A per dare delle risposte esaustive e gestire la situazione al meglio.

Quali competenze sono state sviluppate dalle persone dell’area HR?

Sono arrivato in Diadora nel gennaio 2019. Sono ancora giovane, ho un team giovane e ciò che ho cercato di portare con me è stato il concetto “AGILE”: il mio mantra è sempre stato quello di essere snelli, veloci, agili, perché con le cerimonie e la burocrazia non si va avanti. Questo approccio è stato di estremo aiuto durante la  pandemia, in quanto è essenziale ragionare in termini di “aprire scatole chiuse”, sbloccare situazioni, provare a trovare modalità alternative. Un altro mantra fondamentale per me è  Empower People: le persone devono crescere, responsabilizzarsi, e si può sbagliare talvolta.

Come pensi che stia evolvendo il mondo del lavoro?

Ci ho pensato tanto e ho ascoltato diverse considerazioni. Ognuno fa ipotesi basandosi sulla propria esperienza e sul proprio business, nonché sulla propria organizzazione. La varietà e la diversità dei punti di vista è il modo migliore per avere una visione completa e avere pertanto la possibilità di fare riflessioni più profonde. Io parto da questo presupposto: tante aziende hanno adottato l’home working totale, oppure l’home working e un sistema di prenotazione delle scrivanie per favorire l’agilità. In un’ottica futura di New Normal, una scelta del genere va sicuramente calata a seconda del business di riferimento. Personalmente rabbrividisco al solo pensiero di immaginare la realtà in cui lavoro in perenne modalità da remoto; e lo stesso dicasi in generale per tutte quelle realtà che lavorano con il prodotto, dove pertanto il risvolto umano e materico è fondamentale . Se devo lavorare sul prototipo, toccare il pellame, lavorare sul tessuto, controllare le tomaie, diventa impegnativo se non impossibile lavorare da remoto. Infatti, ad oggi non potendo andare presso i nostri fornitori, dobbiamo affidarci totalmente a loro . I nostri developer non viaggiano da gennaio 2020, le campagne vendite le abbiamo fatte da remoto, ma quando arriva il cliente in showroom e vede il prodotto da vivo è tutta un’altra cosa. A parte la questione del business, sono convinto che l’adozione di una modalità da remoto full time sia pericolosa perché rischia di portare all’isolamento sociale. Ciò che serve è un giusto mix di ingredienti per riprendere quella coesione sociale in grado di creare quella chimica che a livello video si interrompe.

Quale pensi sia la potenzialità futura del digital?

Il digitale ha sicuramente vinto l’Oscar dell’attore protagonista. Noi avevamo cominciato a pensare alle campagne in streaming già nel 2019, ma a suo tempo sembravano argomenti molto lontani, poi di punto in bianco ci siamo trovati a costruire tutto a tempo di record. In Diadora abbiamo due business: sport e utility (Dispositivi di protezione individuale); due aree diverse in cui però tutti vogliono toccare il prodotto per capirlo. Il digital, se applicato in toto, eliminerebbe la parte più esperienziale del prodotto.

In futuro, potrebbe essere interessante implementare uno showroom virtuale nel quale venga dato spazio sia alla parte fisica ma anche a quella virtuale, favorendo così il giusto mix tra le due realtà, condizione che permetterebbe di enfatizzare la customer experience. Il digital, inoltre, può essere sfruttato per percorsi di formazione, in quanto permetterebbe di arrivare a tutti ovunque.