Come hai vissuto il periodo del lockdown come Direttore HR?
Come credo tutte le persone l’ho vissuto con apprensione, con senso di paura per qualcosa che non era noto a nessuno, nemmeno alla comunità medica. Forse anche questi miei sentimenti mi hanno aiutato a reagire e a pensare a quanto si potesse fare per il bene delle nostre persone che stavano vivendo la stessa esperienza.
Come avete reagito alla situazione?
Come prima cosa, abbiamo dato priorità alla salute delle persone: principio che l’azienda si è data e che ha posto in essere in tutte le sue decisioni e ha poi trasferito in politiche conseguenti. A mano a mano che il problema si acutizzava abbiamo adottato lo smartworking (o meglio remote working) come unica modalità lavorativa: la mattina prima del DPCM che ha determinato il lockdown eravamo già in una modalità di lavoro da remoto diffusa ed estesa a tutti.
L’unico luogo in cui la completa remotizzazione del lavoro non era possibile è stata la nostra fabbrica di Aprilia: lì abbiamo adattato la pianificazione del lavoro in modo da garantire la completa e scupolosa applicazione di tutti protocolli approvati, così da fornire a tutti il massimo della garanzia di bassa rischiosità. L’ambiente era già estremamente sicuro e controllato, vista la natura della produzione; tuttavia, per renderlo ancora più sicuro, abbiamo adottato piccoli accorgimenti nella pianificazione del lavoro per consentire alle persone sempre distanziamento e assenza di situazioni di assembramento.
Quali azioni avete messo in campo per stare vicini alle persone?
C’è stato un processo di comunicazione costante e cadenzato, così da aggiornarle e guidarle passo dopo passo, a cui abbiamo aggiunto una serie di iniziative di prossimità, quali seminari in digitale volti al benessere psicologico e fisico delle persone e una newsletter quotidiana, che abbiamo chiamato “Buongiorno MSD”. Con questo strumento ogni giorno condividevamo informazioni da fonti qualificate sul Covid-19, suggerimenti per attività extra lavorative da svolgere in casa, consigli di lettura, pillole su diversi argomenti tra cui anche diversità e inclusione e leadership. Grazie a questo strumento abbiamo anche organizzato un paio di contest virtuali con foto sulla vita lavorativa e privata e abbiamo celebrato i vincitori, sempre tramite modalità di incontro digitali.
In generale, ciò che ci ha consentito di affrontare questa fase, e che ci sta continuando ad aiutare, è stato l’investimento che da tempo l’azienda stava facendo sui temi del digitale e della tecnologia. Da qui è partito un percorso per la scoperta ed elaborazione di come far sì che queste tecnologie normalmente fredde possano veicolare anche un senso di vicinanza e una comunicazione empatica. Vorremmo che ci fosse nella tecnologia, per quanto possibile, lo stesso calore della relazione fisica e che gli strumenti del digitale diventino degli amplificatori della relazione umana, e non un sostituto.
Come sta dunque cambiando anche il ruolo dei manager? E come sarà in futuro?
Sono cambiate le modalità con cui comunichiamo, compresa la scelta delle parole. In MSD continuiamo a portare avanti un lavoro, iniziato ben prima dell’emergenza sanitaria, sui manager affinché questi agiscano la propria leadership senza che ci sia per forza la presenza fisica, con sincronicità e asincronicità differenti, con maggior delega e minor controllo. Questo lavoro di trasformazione del nostro modello di leadership era in fieri e ha per noi subito un’accelerata.
In generale, per i manager è cambiata la visione del proprio lavoro e del proprio team, perché questo periodo ha avuto un effetto di abbattimento del confine tra vita lavorativa e vita privata: la capacità di saper gestire il continuum sarà qualcosa su cui dobbiamo lavorare. C’è una competenza, inoltre, che mi sta molto a cuore, e che è la capacità di ascolto: è un tipo di competenza sottovalutata, controintuitiva rispetto ai media digitali – i social sono il luogo per eccellenza dove si parla senza ascoltare. Sfruttare le piattaforme nel lavoro ci ha fatto capire quanto sia importante saper ascoltare e saper far parlare gli altri. L’ascolto abilita una serie di comportamenti per noi fondamentali, come ad esempio l’inclusività, tratto della leadership su cui lavoriamo tanto e che è per noi un valore aziendale.
Questa circostanza ha fatto tornare, inoltre, forte il bisogno di interdisciplinarietà: in un momento ad altissima complessità come questo che stiamo fronteggiando, lavorare in team trasversali diventa fondamentale. Oggi solo le aziende che hanno trovato nel lavoro in team e nella valorizzazione della diversità la propria forza riescono a fare la differenza.
Come è cambiato anche il lavoro della funzione HR? E come continuerà a cambiare?
La pandemia ha creato una discontinuità nel mondo HR. Sono ritornati in primo piano alcuni elementi che fanno parte di questo mestiere: possiamo affermare che questa sfortunata circostanza ci ha fatto comprendere i valori della salute, della sicurezza, del benessere, raggiungibili solo grazie a uno sforzo collettivo.
Credo da una parte che il tema della persona e del suo ben-essere personale e organizzativo debba essere davvero al centro di una politica delle risorse umane. Per noi si è trattato di modulare gli strumenti a disposizione, come ad esempio il nostro programma Live.it che muove esattamente da questo tipo di consapevolezza: senza la buona salute e benessere delle persone non ci possono essere crescita e benessere nelle organizzazioni, come in qualsiasi tipo di società.
D’altra parte riteniamo si debba lavorare in modo armonico tanto sullo sviluppo degli individui, quanto su quello dell’intera comunità di lavoro: non possiamo prescindere da un lavoro fatto sulla comunità lavorativa e sulle modalità in cui la comunità interagisce. In un’organizzazione le cose si fanno insieme e in questo senso le pratiche dialogiche sono un elemento imprescindibile: sforzarsi di costruire una comunità che dialoga e che si muove verso un obiettivo comune è oggi più importante di prima.
Come cambierà il mondo del lavoro nel prossimo futuro?
Dipenderà molto dalla durata dell’emergenza sanitaria e in questo senso le nostre speranze devono essere giustamente riposte nella ricerca scientifica e nel lavoro della comunità scientifica e degli enti regolatori. Ipotizzando che in un futuro non troppo lontano la scienza ci consentirà di uscire dalla fase pandemica; credo che molte delle cose attuate in questo periodo caratterizzeranno il mondo del lavoro prossimo venturo, fra queste: una leadership maggiormente distribuita nei vari livelli dell’organizzazione e una modalità di lavoro ibrida basata su lavoro in presenza e digitale. Inoltre, stiamo assistendo, specie nel nostro Paese, a un forte ricambio generazionale nelle organizzazioni, e questo è un altro dei grandi temi: come far sì che questa transizione avvenga virtuosamente, in modo che le generazioni che entrano e quelle che lasciano si contaminino in modo positivo. Le aziende lavoreranno molto su questo, perché ne vedono il potenziale, un modo per connettere le persone e sviluppare competenze. Se ci sarà contaminazione tra le generazioni, se riusciremo a trasferire da una parte la fluidità nell’uso del digitale tipico dei più giovani e dall’altra la capacità di pensiero verticale e di relazione dei più senior, lì avverrà la magia.
Per noi il tema delle nuove generazioni è parte del nostro lavoro su Diversity & Inclusion, sul quale stiamo lavorando costituendo “Employees Business Groups” su aree tematiche: uno di questi lo abbiamo appunto dedicato al tema “New Generation Network”, la cui missione è riassunta dal motto: “No Generation Gap”. Attraverso questo tipo di progettualità e questa modalità di coinvolgimento riusciamo a far accadere delle cose molto interessanti, soprattutto se si ascoltano le persone. Un esempio concreto di collaborazione, dialogo e ascolto a cui faccio riferimento: abbiamo lavorato in uno di questi gruppi su come fare un buon employer branding sui social media (es. LinkedIn) e i dipendenti che vi hanno partecipato hanno costruito un manifesto ora accessibili a tutti e che ci guida in quelle attività.
Quale ruolo il digitale ricoprirà negli sviluppi aziendali futuri?
Il digitale ha un ruolo fondamentale, lo dico con molta umiltà e lo dicono anche molte ricerche. Tuttavia, non credo in un futuro che sia solo collegato e basato sul digitale, dove le relazioni umane siano interamente mediate dalla tecnologia: da un punto di vista HR ipotizzo piuttosto che ci sarà un futuro ibrido e che per questo motivo ci sarà molto da lavorare per comprendere come digitale e non digitale collaborano e parlano. Questo è per me il vero punto di attenzione: capire come la tecnologia può essere messa al servizio dell’umano e come le due anime possano dialogare proficuamente ed eticamente, come le capabilities tecnologiche si accompagnino ai bisogni e ai comportamenti delle persone.