Come ha vissuto il periodo del primo lockdown come Chief HR Officer?
Il mio caso è forse ancora più complesso rispetto a quello di altri colleghi, perché durante il lockdown non solo mi sono trovata coinvolta in processi e problematiche completamente nuove per contenuto e dimensione, ma ho anche cambiato personalmente lavoro. Sono arrivata nel Gruppo Banca Ifis nella seconda metà di febbraio 2020: ricordo che mi stavo preparando al mio ingresso e mi arrivò la telefonata inattesa con la richiesta di partecipare a un comitato di crisi, per definire azioni e comportamenti a tutela della salute dei lavoratori ma anche a salvaguardia dell’operatività. È stato un tuffo in acque nuove e agitate, con persone che non conoscevo e uno scenario inedito da affrontare ma che sarebbe divenuto in poche ore la nostra quotidianità.
Quali azioni avete messo in campo?
Il comitato di crisi è stato ottimale ed efficace nella gestione dell’emergenza. Ci siamo trovati a far fronte a qualcosa di completamente ignoto che toccava, tra molti altri, anche nuovi ambiti comportamentali, ad esempio come le persone potevano lavorare in una situazione di rischio non prevedibile.
La Banca in quel periodo stava sperimentando modalità di lavoro smart ma solo per pochi dipendenti e per esigenze di welfare. In pochi giorni abbiamo preso la decisione di andare live con la remotizzazione delle attività per il 95% della popolazione aziendale. Significa oltre 1.700 persone nell’arco di qualche settimana.
Quali difficoltà avete affrontato?
Abbiamo preparato la lista delle problematiche da affrontare e il primo tema è stato la tecnologia, perché non tutte le persone avevano strumentazione mobile. La nostra direzione informatica ha fatto dei miracoli per reperire quanto possibile, attuando anche soluzioni emergenziali come collegare pc personali, smontare i desktop fissi e portare a casa dei dipendenti gli hardware. Abbiamo esteso la dotazione dei cellulari aziendali a tutta la popolazione aziendale e ampliato i giga per facilitare la connessione a internet di tutti i colleghi anche via hotspot: quasi tutti a casa in sicurezza, preservando però l’operatività della Banca. Insomma, abbiamo messo in campo un pensiero laterale, con soluzioni che fino al giorno prima quasi non erano pensabili.
Qual era il sentimento maggiormente diffuso tra la popolazione a inizio pandemia e come avete risposto?
Tra le nostre persone c’era, certo, il timore della pandemia, ma c’era anche la consapevolezza al contempo che si era lontani dal rischio, perché lavoravamo da casa, e questo ci ha dato tranquillità e voglia di affrontare il periodo. Come HR da subito abbiamo pensato di fornire a tutti supporti manageriali e siamo partiti con delle iniziative formative di valore su concetti legati alla relazione con gli altri e con i clienti, con i propri collaboratori e tra pari che hanno permesso di mettere in primo piano l’importanza del benessere personale.
Abbiamo accompagnato i dipendenti con percorsi formativi quotidiani: una pillola video per lanciare una riflessione sulla modalità di lavoro agile e smart. Abbiamo poi arricchito questo contenuto con webinar più tradizionali, includendo riflessioni più psicologiche e parlando di mindfulness, con l’obiettivo di avere maggiore consapevolezza del proprio stato emotivo.
Abbiamo visto tanta energia nelle persone e voglia di reagire. E anche le performance sono state soddisfacenti proprio per questa voglia di farcela.
Cosa hanno chiesto le persone in quel periodo?
Molte persone ci hanno chiesto la creazione di un habitat professionale in casa per lavorare nelle stesse condizioni dell’ufficio: sedie, monitor, luci. Come HR ci siamo messi nei panni di tutti coloro che avanzavano richieste e, laddove le esigenze erano reali, le abbiamo accolte.
Sicuramente le persone avevano bisogno di essere ascoltate: abbiamo fatto anche dei focus group per confrontarci su che cosa significhi essere un collaboratore della Banca che lavora da casa, ragionando anche sulle regole, tempi e modalità, per lavorare bene. E dopo l’ascolto abbiamo dato vita a dei decaloghi per condividere le informazioni e gli input.
Come è cambiato il ruolo del Chief HR Officer?
Il ruolo è cambiato, certo, ma è cambiato il ruolo di tutti i manager. La nostra “cura di prossimità” ha subìto una frenata brusca e improvvisa: abbiamo ragionato e poi imparato a entrare in relazione con le persone utilizzando il filtro degli strumenti informatici, e lo abbiamo fatto tra pari e con i collaboratori. Mai come in questo periodo essere attenti, far arrivare un messaggio ricco di contenuto è stato importante. Anche la comunicazione si è fatta più strutturata: fissare call e presenziare, vedersi in virtuale, condividere le informazioni, sentirci sugli obiettivi e non sui task. Abbiamo tutti imparato a passare da una modalità di prossimità ad una modalità di organizzazione strumentale.
Chi ha avuto in passato esperienza di contesti internazionali ha fatto meno fatica, perché, di fatto, ha avuto una sorta di apprendimento delle relazioni in remoto… come nel mio caso: ho fatto un tuffo nel passato.
Qual è il futuro della funzione HR?
Dal mio punto di vista sarà un futuro che porterà a sviluppare ancora di più il concetto di inclusione all’interno delle organizzazioni. Anche le aziende che non avevano troppo riflettuto sui concetti di Diversity & Inclusion, con il lockdown si sono trovate a sperimentare. Abbiamo uno standing e una fisicità diverse davanti al pc, e questo fa emergere un’esigenza di riflessione rispetto alla mentalità e alla unicità delle persone. “One fits all” in HR non funziona: le persone hanno approcci, desideri, bisogni differenti e bilanciare tematiche di ottimizzazione di processo con la valorizzazione della persona nel suo essere unico dovrà essere – e sarà – nelle agende di tutte le funzioni HR.
Così come lo sarà la necessità di aiutare i manager ad acquisire un modo diverso di gestione delle persone: noi stiamo parlando tanto con i manager e il manager è sicuramente colui che adesso, più che mai, sta ridefinendo qual è il suo ruolo: sempre più di facilitatore e ispiratore e sempre meno gestore meccanicistico.
Quali sono le competenze che i manager dovranno possedere in futuro più che mai?
I manager dovranno essere capaci di gestire qualunque tema in modo inclusivo, lavorare e ragionare su obiettivi di medio lungo termine, stare molto accorti in termini di organizzazione e rivedere i team in base alle esigenze di mercato, dei clienti e considerando elementi inattesi tipo questo che stiamo vivendo. Il “si è sempre fatto così” è sempre stato nocivo ma in futuro lo sarà ancora di più. Sicuramente dovranno anche lavorare molto sull’engagement ed essere capaci di mostrare ai propri team la “costruzione della cattedrale”, spiegando chiaramente il progetto e la strategia aziendale.
Altra cosa complicata sarà lavorare sul senso di appartenenza, per far sì che non ci si perda: quando la vita in ufficio sarà meno “sociale”, come faremo a sentirci tutti parte della stessa squadra e senza indugio ogni giorno? La remotizzazione pone anche questo rischio: non capire più a un certo punto perché si sta lavorando e per che cosa.
Come cambierà il mondo del lavoro nel prossimo futuro?
Dovremo sicuramente pensare a un mondo blended da un punto di vista di presenza fisica, di profili all’interno delle aziende e di processi che avranno una compartecipazione tra macchine e esseri umani. Lo sviluppo digitale porterà a un ridisegno dei processi aziendali e un determinato task sarà presto svolto in parte dalla macchina e in parte da una persona che farà le attività a valore aggiunto: come bilanciare questo mix sarà sempre più challenging, ma questo credo che sarà il futuro.
Come il Digitale cambierà il futuro dei business e delle aziende?
Il digitale sarà assolutamente chiave. La vera domanda però è: “Quale sarà l’equilibrio tra umano e digitale?”. L’auspicio è che sia un buon equilibrio. Il ruolo delle persone HR, in ogni caso, sarà quello di aiutare l’azienda e le persone a capire che si può fare e a non temere qualcosa che è ineluttabile e che dobbiamo necessariamente gestire, anche dal punto di vista emotivo, consapevoli che alcune comfort zone verranno scardinate. E se non lo faremo, verremo sopraffatti.
L’HR dovrà capire quali attività a minor valore aggiunto saranno digitalizzate e fare in modo che le persone siano formate. Sarà, inoltre, chiave per far comprendere all’azienda i fenomeni evolutivi, per fare in modo che questi siano accolti, affinché lo sviluppo del business non sia compromesso da un eccesso di resistenza al cambiamento.